"Se non sei attivo sui social non esisti": l’etica e l’estetica

Essere o apparire, mai un dilemma è stato così attuale. Che effetto fa ai giovani e ai giovanissimi essere costantemente bombardati da immagini perfette, che raffigurano volti dai lineamenti quasi irreali? E che cosa accade se non si è così attenti e focalizzati sul proprio aspetto esteriore? Parliamo dell’influenza che i canoni estetici veicolati soprattutto dai social hanno sulle nuove generazioni. A rispondere è lo psicologo-psicoterapeuta Francesco Rasponi, esperto di adolescenti e nuovi media, attivo a Cesena.

Dottore, quanto è importante apparire per i giovani di oggi?

«L’estetica, una disciplina che determina da sempre i criteri di bellezza, è sempre stata importante, ma soprattutto in questa era digitale, essere belli e apparire al meglio di sé è ancora più fondamentale. Un cambiamento in questo senso si è cominciato a presentare all’inizio degli anni ‘2000. Mi viene spesso in mente una frase che nel 2008, anno in cui si cominciò a parlare di Facebook, mi disse una studentessa: “Guardi che se non sei sui social, non esisti!”. Allora, a noi adulti, sembrava un’esagerazione, ma per la maggior parte dei ragazzi, e non solo, è diventato proprio così. Noi siamo quello che appariamo in un’immagine, che deve essere perfetta. Viviamo ormai in un mondo narcisistico, in cui viene premiato il più bello, il più forte, il più prestante. E i social danno la possibilità o ti costringono, dipende dai punti di vista, di apparire H24».

Questo che cosa comporta, specie negli adolescenti?

«Spesso quando ci si sente belli, questo concetto permea anche altri ambiti della vita; quindi se si è belli si tende a sentirsi adeguati, competenti dal punto di vista sociale e in grado di fare le cose. Di contro, un’estetica un po’ deficitaria può corrispondere a una forma di bruttezza che riguarda anche altre aree della persona. E quindi si diventa insicuri, impacciati e poco capaci. È come se il senso di bellezza e bruttezza svolgessero un’azione pervasiva su tutta la persona. Ciò riguarda in particolar modo gli adolescenti, che già di per sé stanno attraversando una fase complicata della propria vita in cui cambia il modo di sentirsi e di percepire in primis il proprio corpo».

Quali sono i modelli di bellezza degli adolescenti?

«Sono quelli proposti dai media, dalla TV e dai social. Si tratta di immagini e video di influencer, modelli e personaggi famosi che appaiono nella loro massima espressione di bellezza, quasi sempre grazie a dei filtri che creano degli effetti quasi irrealistici, di innaturale bellezza. Certo, è vero che ognuno di noi quando posta una foto, fa un’accurata selezione e sceglie quella che sembra essere senza difetti, ma con photoshop e altri programmi è possibile raggiungere livelli impensabili di perfezione. Non sconvolge il fatto che a volte ci siano delle persone, specie giovanissime accompagnate dai genitori, che chiedono al chirurgo estetico di intervenire su un determinato aspetto del proprio corpo, ponendo come modello un’immagine che è stata trattata con un filtro».

E che cosa succede a coloro che si tengono fuori da questa dinamica della bellezza a tutti i costi e dell’apparire?

«Direi che da un certo punto di vista vivono meglio, sono più sereni, ma al tempo stesso sono tagliati fuori dai discorsi dei coetanei. L’ideale sarebbe trovare un giusto equilibrio, in cui i social vengono utilizzati per integrare parti della socializzazione e per divertirsi, e perché no, anche per pubblicare foto di sé in cui ci si piace. Bisogna aiutare i ragazzi a trovare un giusto equilibrio tra vita on line e off line, anche se questi due momenti sono ormai sempre più intrecciati. Come dice Luciano Floridi, ormai si parla di “On Life”».

I ragazzi si rendono conto della differenza tra l’essere e l’apparire, tra realtà e finzione?

«Non sempre. Il problema nasce quando l’immagine ideale non corrisponde affatto a quella reale. Sono queste situazioni che fanno scaturire vergogna, senso di inadeguatezza fino a raggiungere forme cliniche. Si tratta spesso di ragazzi che sviluppano un’ossessione nei confronti dell’immagine. Bisognerebbe avere a disposizione uno “specchio” che mostri un’immagine realistica. Da specchio possono farlo gli altri, i pari, i coetanei che si incontrano a scuola o nello sport, ma anche i genitori e gli altri adulti di riferimento attraverso il dialogo e un confronto costante. Bisogna dare ai ragazzi la possibilità di scoprire che c’è tutta un’altra bellezza che non c’entra niente con i filtri e che si trova nelle attività che si svolgono, nelle passioni, nel volontariato e nello scambio con le altre persone».

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