Se lo stato arresta l'umanità

Una storia di diritti negati, di umanità perduta e di uno stato (con la s minuscola) che calpesta i cittadini, forte del suo apparato burocratico che lo protegge dalle incursioni del buonsenso.
C’è una madre che non riesce a vedere la figlia, reclusa in carcere a Forlì. Non è una seguace dell’Isis, non ha evaso il fisco per milioni di euro, non ha pagato tangenti per vincere appalti: ha rubato una borsa poi restituita alla proprietaria.
La legge italiana è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale. La ragazza, tossicodipendente in attesa di entrare in una comunità di recupero, è in cella dal 26 settembre e da allora la madre non solo non è riuscita a vederla, ma nemmeno a consegnarle un cambio di biancheria. L’avvocato chiede il permesso al pubblico ministero che lo concede, il 5 ottobre la donna telefona e si accorda per il giorno successivo prendendo le ferie perché vive a Ravenna.
Dopo aver compilato i moduli e aver atteso un’ora è stata invitata ad andarsene perché, secondo gli impiegati, il permesso non era arrivato. Negata anche la possibilità di consegnare la borsa con gli indumenti. Il regolamento non lo permette.
Ricordiamo in proposito cosa stabilisce l’articolo 27, comma 3, della nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

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