Scuole, Ausl Romagna smonta le tesi dei genitori "no Dad"

Rimini

«Siamo in una situazione di grave pericolo. Ci troviamo nel momento massimo di circolazione del virus mutato e anche quello che fino a qualche tempo fa era considerato sicuro non lo è più». Raffaella Angelini, direttrice del dipartimento di Sanità e Igiene pubblica di Ausl Romagna, non ha dubbi sull’opportunità o meno della chiusura delle scuole. «Non piace a nessuno, ma non c’è altra scelta».

Angelini, le persone scese in piazza per manifestare contro la Dad ritengono che stabilire la chiusura delle scuole quando si verificano 250 casi ogni 100mila abitanti non sia giustificato, in quanto numeri, secondo loro, da zona gialla. Perché è stato stabilito questo parametro?

«Dicono che non è un’incidenza alta? E’ un’incidenza altissima. E comunque sono parametri stabiliti a livello governativo dal Cts, a cui le Regioni devono adeguarsi. Loro rivendicano il diritto dei loro figli ad andare a scuola, ma 250 casi ogni 100mila abitanti in un territorio significa che esiste un’altissima circolazione del virus, e questo richiede indiscutibilmente l’adozione di misure che riducono la mobilità delle persone. Quella della chiusura delle scuole al verificarsi di questo numero di contagi è una misura determinata dalle autorità sanitarie europee, fanno lo stesso in tutta Europa. E comunque, se anche 250 casi ogni 100mila in una settimana per i “No dad” non rappresentano un’incidenza sufficientemente alta, oggi abbiamo valori che sono oltre il doppio. Nella relazione di Ausl Romagna allegata all’ordinanza firmata dal presidente Bonaccini è scritto nero su bianco che nelle due settimane, dal 18 febbraio al 4 marzo, a Rimini sono stati registrati 873 casi ogni 100mila, a Cesena 943, a Ravenna 710 e a Forlì 677. Come si fa a dire che si tratta di una situazione normale? Io, personalmente, sostengo quello che un medico sostiene, cioè che gli ospedali sono già molto sotto pressione, e credo ci sia poco da discutere».

I “No dad” sostengono anche che non ci sia una correlazione diretta tra la frequentazione delle scuole e l’aumento dei contagi.

«Non è necessario dimostrare la correlazione diretta, è sufficiente osservare l’aumento dei contagi da Covid-19 nella fascia di età di bambini e ragazzi che frequentano le scuole. Un fatto che è dimostrato dai dati delle ultime 4 settimane, che mostrano un incremento in Romagna del 90% dei casi tra la popolazione scolastica. Ovviamente è tutto correlato alla circolazione della variante inglese, ormai divenuta prevalente. E questo ci porta obbligatoriamente a dover mettere in atto misure di contenimento limitando i contatti tra le persone. E le scuole sono un luogo in cui si incontrano e che mettono in movimento migliaia di persone. Ovviamente non si tratta di puntare il dito contro la scuola. In questo contesto la scuola è considerata un luogo di incontro come un altro, che mette in moto migliaia di persone».

Tra le loro convinzioni c’è anche quella che non ci sono prove che i bambini diffondano il contagio o le varianti. Ci sono prove al riguardo?

«E’ il contrario di quello che dicono. Non ci sono prove che i bambini non diffondano il contagio. Già alla fine di febbraio, gli under 23 hanno aumentato il loro peso percentuale sul totale dei contagi di circa il 25% rispetto all’inizio dell’anno, giustificando il 26% dei casi totali. Gli under 18 sono aumentati del 38% e giustificano da soli il 20% dei casi totali».

I “no Dad” sono molto preoccupati per i danni psicologici dei bambini. Condivide la preoccupazione?

«E’ pensabile secondo lei che una pandemia non abbia nessun effetto sulle generazioni future? Non è che qualcuno è cattivo e vuole costringere i bambini a stare a casa. E’ solo che non c’è altra scelta in questo momento. Se si abbassa il contagio in generale si abbassa anche nelle scuole, non c’è un singolo posto che sia “colpevole” più di altri».

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