Sberlati, sì a Rimini capitale, ma cos'è davvero cultura?

Rimini

Di cosa parliamo quando parliamo di cultura? Francesco Sberlati, italianista e professore all’Università di Bologna, dice la sua sull’ipotesi di Rimini capitale italiana della cultura 2024. Rimini possiede delle realtà culturali di eccellenza: la proposta è totalmente da assecondare secondo l’accademico riminese, poco partecipe alla vita della città – ammette con sincerità intellettuale – ma consapevole del suo grande patrimonio. Certo è che tutto dipende da cosa intendiamo per cultura. «Mi sembra un’ottima proposta – dice Sberlati – anche se premetto che il mio sguardo nei confronti delle iniziative riminesi è molto approssimativo e parziale. Da tanti anni risiedo a Rimini, eppure non la vivo come città, spesso mi trovo all’estero per lavoro, le mie sono le opinioni di una persona scarsamente informata e aggiornata. Ma penso che sia fondamentale capirsi su una questione: cosa si intende per cultura? Cultura è una parola che si presta a interpretazioni varie e articolate, addirittura reciprocamente incongrue. Sotto tale termine possono rientrare diverse iniziative: convegni, fiere, eventi sportivi... A Rimini è importante l’aspetto dell’evento sensazionalistico, nella speranza di una ricaduta in termini di presenze turistiche. Strategia perfettamente lecita dal punto di vista economico, ma è chiaro che l’evento punta sulla quantità, la cultura invece potrebbe puntare sulla qualità».

Ci può spiegare meglio?

«Utilizzo una metafora un poco provocatoria per capire cosa si può intendere per cultura. Per un cacciatore, l’attività venatoria è uno sport a tutti gli effetti. Quando si alza alle quattro del mattino, imbraccia il fucile, percorre chilometri per raggiungere il bosco e sparare ad animali che volano, quello per lui è uno sport. Per qualcuno che è iscritto alla Lipu invece si tratta di un individuo il cui atteggiamento è estremamente deplorevole. Dove sta la verità? Certamente la cultura non è solo nelle accademie, è anche un momento di aggregazione della cittadinanzamolto importante, e per aggregarla occorre anche corrispondere alle sue aspettative. Bisogna partire da un tipo di società civile, e la cittadinanza di Rimini ha determinate caratteristiche – legittime, ribadisco – che però forse sono diverse da quelle ad esempio di Siena. Credo anche che l’ipotesi di Rimini capitale della cultura 2024 sarà in funzione – e ci tengo a precisarlo, giustamente – del prossimo confronto politico. Siamo in una fase preelettorale, serve una strategia per raggiungere il consenso nel confronto dialettico tra le forze politiche».

In un Paese come l’Italia, tante città possono ambire a questo ruolo. Rimini avrebbe possibilità?

«Da riminese non posso che assecondare e sostenere questa proposta, certamente mi auguro che abbia successo. Tuttavia non siamo Siena, Pisa, Siracusa, Venezia, per esempio. Le iniziative riminesi rientrano in una dimensione antropologica collegata alla realtà del territorio. La competizione sarebbe abbastanza accesa. Ciò non significa che non ci si possa provare».

Quali iniziative andrebbero messe in campo?

«Io esprimo l’opinione di un accademico: mi piacerebbe che ci fossero delle iniziative di carattere convegnistico di un certo livello per valorizzare il patrimonio culturale più autentico. Ciò non significa la solita banalizzante giornata su Francesca da Rimini. Eppure, letta in quella dimensione tardo-romantica di vittima della sopraffazione maschile – cosa che è priva di qualsivoglia fondamento storico-filologico, documentario e anche culturale – Francesca da Rimini incontra le simpatie di coloro che riempiono la sala. Ora, questa è cultura? Sì che lo è, senza alcun dubbio, ne è una forma. Quello che mi sento di dire è che si potrebbero proporre iniziative più avvertite sul fronte storico, documentario, culturale, all’interno della dimensione urbana. Però, diciamoci le cose come stanno, se io dovessi programmare un’attività in tal senso sarebbe un drammatico fallimento» (ride).

Una città piena di contraddizioni.

«Penso al Teatro Galli: è stato efficacemente recuperato. Come contenitore funziona, ma il contenuto è stato adattato alle aspettative della cittadinanza. Una cosa che mi è rimasta indigesta è la strumentalizzazione della figura di Federico Fellini, onestamente la sua fisionomia intellettuale è stata snaturata. Anche qui si è cercato l’evento sensazionalistico, impedito poi dalla sventura epidemica. Il restyling urbanistico invece è un aspetto molto interessante, che soddisfa una porzione dell’orizzonte cittadino. Ma se parlo con un riminese che si deve necessariamente spostare in automobile per lavoro, incontro i disagi che ha patito in questi anni, le strade cantierizzate, alcune frazioni divenute praticamente irraggiungibili. O se considero i miei amici che vivono nelle periferie e non vengono più in centro perché è impossibile raggiungerlo e trovare parcheggio, allora quel tipo di rivoluzione urbanistica è in funzione di una certa categoria di persone. È impossibile accontentare chiunque. Tuttavia a Rimini ci sono realtà di eccellenza dedicate alla cultura, come quella del Corriere Romagna, coraggiosamente portata avanti da tanti anni, anche se si tratta di realtà di nicchia». «Insomma – conclude –, quando c’è da fare sul serio la risposta c’è, si possono organizzare tante cose, la serietà paga in tutti i contesti. Naturalmente il mio personale auspicio è che questa proposta venga premiata e che Rimini riesca a ottenere questo straordinario posizionamento».

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