Savignano, un bambino di 10 anni appicca il fuoco per i followers su Tik Tok. Lo psicologo: "I genitori? Assenti"

Baby vandali col fuoco per poi postare i video sul social preferito ed accumulare consenso. Consenso sotto forma di 6.500 followers che il principale protagonista della vicenda, 10 anni appena, aveva sul suo profilo all’interno del quale il principale “divertimento” era appiccare incendi e postare i video dei soccorsi da parte delle varie forze di pubblica sicurezza.
Si chiamano “challenge”: sfide da compiere sul social network più in voga tra i giovanissimi: TikTok. “Sfide globali” in cui, non è la prima volta al mondo, soggetti anche giovanissimi mettono in pericolo loro stessi o creano pericoli da riprendere nei filmati e condividere con tutti.
Proprio tramite i video postati su questo social network famosissimo, la polizia locale dell’Unione Rubicone Mare ha scoperto chi fossero i piromani che da qualche settimana stavano “divertendosi” a fare migliaia di euro di danni a Savignano sul Rubicone. Si tratta di ragazzini tra i 10 ed i 12 anni di età. Che tutto dovrebbero pensare e fare tranne che “giocare col fuoco”; e che di certo non dovrebbero poter usare uno smartphone o un social network senza un controllo da parte dei genitori.

Lo psicologo

Andrea Bilotto, psicologo ravennate e presidente dell’Associazione italiana di prevenzione al cyberbullismo e al sexting, da tempo presta parte della sua attività di professionista all’ascolto dei ragazzi dentro le scuole. Questo, gli ha permesso di entrare in contatto con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, analizzandone i comportamenti e scoprendone i problemi fin nel profondo.


Il mondo dei social come influenza i ragazzi in età evolutiva?


«Nella società giovanile di oggi la popolarità è diventata fondamentale, anche tra i più piccoli, che spesso hanno a disposizione cellulare e si iscrivono ai social anche se non potrebbero. Il problema è che pur di trovare fama sono disposti a tutto e così emerge la trasgressione totale e un’assoluta e preoccupante mancanza di empatia. Quando parlo con i ragazzi che mettono in atto questi comportamenti, spesso mi rispondono: “tutto nella norma”».


Nel corso del suo lavoro nelle scuole, oltre ai noti problemi di cyberbullismo, quali fenomeni preoccupanti sta vedendo emergere?

«Il vandalismo è senz’altro uno di questi. Poi ci sono le risse, con gruppi composti anche da decine e decine di giovani che si danno appuntamento tramite social solo per picchiarsi. Infine, le cito il “dissing”, che proprio in questi giorni stiamo vedendo in atto in una scuola primaria a Cesena».


Di cosa si tratta?


«È un fenomeno in forte crescita tra bambini anche di dieci anni e consiste nell’insultarsi senza freni l’uno con l’altro tramite WhatsApp».


Per quale motivo, secondo lei, agiscono in questo modo?


«Per quanto possa sembrare assurda, la risposta è una: cercano attenzione. Quando accolgo questi giovani negli sportelli di ascolto a scuola sono dei veri e propri fiumi in piena. Mi chiedono di parlare per ore, perché finalmente qualcuno li sta ascoltando. E quando chiedo: “ma parlate con i vostri genitori?”, loro mi rispondono: “perché dovremmo parlare con i muri?!”. Ecco allora che poi compensano queste mancanze sui social, dove cercano popolarità e autostima».


Ma per quale motivo, poi, sfogano la mancanza di attenzione in cattiveria?


«Perché il mondo con il quale si scontrano su internet è spesso cattivo. Pensiamo solo a serie tv come Squid Game. I bambini e ragazzi che seguo l’hanno vista tutti, anche se era vietata. Per non parlare poi dei videgiochi, spesso lasciati nelle mani di giovanissimi che non hanno gli strumenti per interpretare ciò che stanno vedendo o facendo. Uno studente di 8 anni qualche giorno fa è venuto da me e mi ha detto: “ieri ho stuprato una ragazza e ora mi sento in colpa”. Si riferiva a un videogioco che permette di fare queste cose».


E i genitori non si accorgono di nulla?


«Io tengo dei corsi per i genitori e vuole sapere quanti partecipano? Ieri erano in quattro. Vuol dire che non c’è attenzione su questi temi. Non c’è la percezione della pericolosità, mentre la prevenzione sarebbe lo strumento più efficace».

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