“Chiederemo che vengano interpellati i piloti dell’Aeronautica militare che erano di turno il 22 dicembre 2024 tra le 14.56 e le 21.28 per sapere se a quelle condizioni meteorologiche si poteva intervenire e salvare i due alpinisti”. Gli avvocati Luca Greco e Francesca Giovanetti, che assistono i familiari di Cristian Gualdi e Luca Perazzini, dichiarano di non avere intenzione di accettare “risposte frettolose o diplomatiche”. “Vogliamo - chiariscono i legali - che la situazione sia approfondita in modo preciso e i soli a poter dare questa risposta sono i piloti dell’Aeronautica”.
E’ questo il contenuto della nuova memoria difensiva presentata dagli avvocati riminesi alla pubblico ministero della Procura di Teramo, Laura Colica, che conduce le indagini sulla tragica morte dei due alpinisti santarcangiolesi deceduti sul Gran Sasso ormai un anno fa, dopo essere scivolati lungo il canalone della Direttissima del Corno grande a causa di un brusco peggioramento del meteo.
Al centro dell’esposto in Procura avanzato dalle famiglie dei due santarcangiolesi recuperati dopo 5 giorni c’è infatti il desiderio di verificare se quel drammatico 22 dicembre da parte del Soccorso alpino abruzzese sia stato fatto davvero tutto il possibile per raggiungere i due giovani e portarli giù dalla montagna prima che il vento e la neve li conducessero alla morte per ipotermia.
“A partire dalle tempistiche dell’intervento - rimarcano gli avvocati - fino a determinare se gli impianti di risalita per raggiungere Campo Imperatore sarebbero dovuti essere chiusi”. In mezzo, però, c’è la questione controversa della fatidica telefonata all’Aeronautica militare, che avrebbe potuto innalzarsi in volo con l’elicottero da Pratica di mare (la base più vicina), e, evidenzia l’avvocata Giovanetti, “raggiungere il Gran Sasso in una ventina di minuti”. Telefonata che allo stato delle indagini non è dimostrato se sia fatta. Al contrario, un servizio Rai dello scorso aprile ha messo in luce come dal centro di Poggio Renatico, che coordina tutti gli interventi dell’Aeronautica, nessuna richiesta è arrivata dall’Abruzzo per cercare di recuperare i due alpinisti di Santarcangelo. “Agli atti - ribadisce l’avvocato Greco - non è riportato nulla in merito alla telefonata per attivare l’elicottero, ma poco dopo l’uscita del servizio Rai il fascicolo di indagine è stato convertito da “contro ignoti” al modello che presenta un indagato”. A oggi infatti le ricerche della Procura sono incentrate sulla figura di un responsabile del Soccorso alpino abruzzese, indagato per omicidio colposo dovuto a una condotta omissiva.
L’ombra di Rigopiano
Gli avvocati mettono poi in evidenza una sinistra analogia con la tragedia di Rigopiano, consumatasi sempre in Abruzzo il 18 gennaio 2017, in cui morirono 29 persone a seguito della slavina che travolse l’hotel. In quel caso non scattò la richiesta di intervento all’Aeronautica militare: “Per questo - spiega l’avvocato Greco - abbiamo chiesto l’acquisizione delle interviste fatte ai comandanti dell’aeronautica nel caso di Rigopiano”. Dalle testimonianze emergerebbe infatti “che un tentativo di recupero i militari lo provano sempre, riservandosi poi eventualmente di fare dietrofront o non proseguire con i recuperi se le condizioni meteo non lo consentono”. Eloquenti, secondo i legali, anche i dati dei decessi sul Gran Sasso nel 2024, “ben 14, tra cui due dispersi tuttora mai trovati, mentre due sono le morti registrate nello stesso anno sul Monte Rosa”.
“Non erano dispersi”
Altro aspetto da non sottovalutare, secondo i legali, è il fatto che Cristian e Luca non fossero affatto dispersi. “Un’ora dopo aver chiamato per la prima volta i soccorsi, alle 15.55, Gualdi ha mandato la posizione al 118” spiega Giovanetti, che racconta di essere stata una grande amica di Cristian e proprio per questa ragione di essere così determinata a scavare sotto la superficie fino a scoprire la verità. “Sapevano dove si trovavano e Cristian aveva fatto ben 17 chiamate al 112 e risposto ad altre telefonate arrivate dai soccorritori, dalle 14.56, prima chiamata, fino alle 18.56, ora dell’ultima telefonata in uscita in cui ha parlato con un operatore”.
Circa un’ora dopo, alle 19.54, il 48enne riceve un messaggio dal 118: “Cristian, abbiamo appena sentito il Soccorso alpino, stanno facendo il possibile per arrivare da voi nel più breve tempo possibile. Nel frattempo è importantissimo che ti scavi una buca con i piedi o come riesci e ti muovi di continuo. Tieni duro, senza addormentarti”. L’ultima attività registrata dal cellulare è invece la telefonata a un amico, alle 21.28. Una telefonata che non ha ricevuto risposta in seguito alla quale il telefono di Cristian si è spento. Incessanti, invece, le chiamate effettuate dal padre, sia sulla rete telefonica che su Whatsapp, alle quali però il 48enne non ha mai risposto. Un tentativo forse di proteggere il genitore dall’angoscia di sapere il figlio bloccato in una tormenta di neve a più di 2000 metri di altezza.
Il cellulare di Luca, invece, non è mai stato utilizzato per chiamare i soccorsi poiché gli scivolò via durante la caduta. Il dispositivo del più giovane dei due infatti non è stato sequestrato, ma recuperato su istanza degli avvocati Greco e Giovanetti: una volta riacceso al suo interno sono state trovate però le foto e i video registrati quel giorno, “da cui si nota - rilevano - che splendeva il sole”. “Luca e Cristian - rimarcano ancora gli avvocati - sono stati descritti come due sprovveduti, mentre erano entrambi esperti e gli esami sul cellulare di Gualdi hanno dimostrato che durante tutta la settimana avevano monitorato il meteo, fino alla sera prima, e pianificato attentamente l’escursione”.
La commemorazione
Le famiglie e gli amici di Cristian e Luca, nell’attesa che la Procura assolva il suo compito alla ricerca della verità, hanno organizzato un momento di ricordo e preghiera nell’anniversario della morte dei due giovani appassionati di montagna. L’appuntamento è alle 20 del 22 dicembre nella chiesa di San Vito, dove si celebrerà una messa in ricordo dei due alpinisti.