Santarcangelo, un festival che "cura"

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«Il teatro è un ottimo contesto di costruzione di comunità, trasversale alla comunità. Il teatro cura le persone e costruisce solidi legami e ciò funziona se non rinuncia alla qualità artistica».

Parole di Cecilia Bartoli, organizzatrice di Asinitas, onlus ospite al Santarcangelo festival insieme agli altri partner del progetto “Incroci” che si presenta qui nelle sue diverse sfaccettature. Tre i lavori che sarà possibile vedere al Supercinema nelle giornate di oggi, domani e dopodomani, “Element-Z” (il 17 alle 21), “V.Visitors” (il 18 alle 18), “Abitare il ritorno” (oggi alle 18).

“Incroci”, ideato da Teatro Magro con Asinitas e Amunì/Babel Crew, col sostegno di Fondazione Alta Mane Italia, è un progetto ampio che prevede la realizzazione di attività finalizzate allo scambio di esperienze e competenze mediante percorsi collegati all’arte per l’inserimento lavorativo e l’integrazione sociale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.

Quello di stasera, “Abitare il ritorno. Echi e visioni di donne uomini e oggetti”, che apre la tre giorni, è il frutto di un laboratorio durato 5 mesi, tenutosi a Roma nel quartiere di Torpignattara, contesto ad alta densità interculturale, diretto da Fabiana Iacozzilli con il coinvolgimento della marionettista Antonia D’amore, le musiche originali di Matteo Portelli, come spiega Bartoli.

«In scena ci sono 18 persone delle 50 previste, a causa del Covid. È un gruppo eterogeneo per età (dai 9 ai 75 anni), cultura, provenienza, genere, predisposizioni artistiche, tutti non professionisti, qualcuno studia teatro».

Ogni anno con i vostri laboratori affrontate un tema. Quale avete proposto in questo ultimo di cui vedremo l’esito al festival?

«Abbiamo lavorato sulle origini, sul passato che vive nel presente cercando in particolare di rispondere alle domande: da dove vengo? Qual è la mia casa di origine? Chi sono le presenze giganti che mi hanno ispirato? Su questi quesiti è nata una costruzione drammaturgica condivisa».

Qual è l’approccio per avvicinare persone così diverse tra loro?

«L’approccio pedagogico tipico di Asinitas è quello di lavorare su ciò che ognuno porta con sé: il corpo e la storia. Insieme operiamo per raggiungere un apprendimento della lingua narrativa ed espressiva del sé».

Ciò si intreccia ogni anno con la visione artistica della guida laboratoriale e registica che cambia.

«Sì, l’esperienza cambia a seconda del conduttore e le sue pratiche si intrecciano con il nostro sguardo».

In “Abitare il ritorno” c’è l’utilizzo di oggetti e di “puppets”.

«Sì, grazie alla presenza della marionettista D’Amore, si può dire che è un’esperienza di teatro di figura e i materiali sono stati tutti creati utilizzando carta e cartone dai partecipanti. Ed essi sono i protagonisti anche del movimento di queste figure».

Quali le positività del vostro progetto?

«Che nascono negoziazioni sorprendenti, relazioni importantissime che sono di aiuto per l’integrazione e la nascita di una comunità. Direi che il teatro fa bene al sociale e il sociale fa bene al teatro. È uno scambio fecondo ma la sfida vale solo se non si rinuncia alla qualità artistica. Il regista che di volta in volta è la nostra guida non deve mai rinunciare alla propria vocazione e ricerca, non si deve fare mai fare teatro sociale con la mano sinistra!».

Roma, Palermo, Mantova sono le tre realtà in cui il progetto “Incroci” di dipana e al festival ci sono tutte, come spiega Marina Visentini del Teatro Magro di Mantova.

«Interessante la geografia del progetto con approcci diversi in tutti i sensi. Abbiamo compreso che molto poteva arrivare dal confronto tra esperienze così differenti così abbiamo iniziato a fare degli scambi. E qui a Santarcangelo è la prima volta in cui i partecipanti di questi ultimi progetti si vedono tutti insieme. Un’occasione straordinaria offerta dalla direzione artistica che permette di confrontare la ricerca artistica finalizzata alla conoscenza del sé e dell’altro nella prospettiva della costruzione di una comunità inclusiva».

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