Santarcangelo, "23 ore di attesa per una visita: era come il gioco dell'oca"

«23 ore per una visita». A dichiararlo esasperata è la 61enne, Cristina Darolt che, puntando il dito contro il Pronto intervento clementino, ricostruisce un’odissea iniziata il 30 aprile.

Macinando chilometri

«Erano le 19,25 quando sono giunta al Pronto intervento di Santarcangelo. A bordo dell’auto con i suoi bambini c’era mia figlia, Sara Casadei, che dopo due giorni di virus intestinale avvertiva un forte dolore ai reni». Rimasta in auto con i nipotini, tra cui uno di pochi mesi, la signora, bisnipote del celebre Francesco Darolt, campione sportivo di tamburello, resta spiazzata vedendo ricomparire la figlia 31enne di lì a poco. «I sanitari le hanno detto di recarsi a Rimini perché alle 20 avrebbero chiuso i battenti». Così la famigliola fa dietrofront e mentre Cristina decide di restare per occuparsi dei piccoli, di cui uno reduce da una brutta otite, suo cognato si offre di dare un passaggio alla nipote che continua a stare male. «A Rimini le hanno somministrato subito un antidolorifico, ma prima di altri accertamenti, c’era da affrontare la lunga fila composta da adulti e almeno 30 ragazzini». Così verso le 23, sfinita dall’attesa, Sara decide di gettare la spugna e si fa riaccompagnare a casa dallo zio. Intanto il personale sanitario le consiglia di presentarsi l’indomani «a Santarcangelo o a Cattolica per sottoporsi a una ecografia». Si arriva al 1° maggio. Visto che Sara sta ancora male, alle 10 la madre carica di nuovo tutti in auto, alla volta del punto di intervento clementino. Dopo le lastre e la flebo di rito, alle 15.30 li aspetta un nuovo intoppo. «L’hanno invitata a tornare a Rimini – racconta amareggiata Cristina – perché non c’era un medico per l’ecografia».

Il gioco dell’oca

E la signora Darolt allarga le braccia: «Mi sono alterata ma, come nel gioco dell’oca, ho ripreso la via di Rimini per accompagnare mia figlia e tornare a riprenderla, macinando chilometri nel traffico del 1° maggio». E non era ancora finita. «Si doveva chiudere la pratica dov’era stata aperta quella mattina, ossia nel pronto intervento clementino – spiega Cristina – così siamo tornati lì. Ho guardato l’orologio, mentre lei varcava la soglia: erano le 18,30. Sono occorse 23 ore per una visita. Che vergogna!. Per fortuna si trattava solo di un’infezione che al momento non pare grave, ma il mio pensiero va agli anziani, ai disabili e in generale a chi è solo. Il nostro Comune è grande e deve essere dotato non di un Pronto intervento, ma di un Pronto soccorso che resti aperto h 24».

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