San Piero: la prescrizone cala sui 9,4 milioni bruciati al gioco dal broker

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Sono passati più di sette anni e mezzo. Ed ogni reato è prescritto. Così salvo inattesi colpi di scena non ci sarà alcuna condanna alla reclusione (dal punto di vista penale) per il broker Silvio Vannini: consegnatosi alla Guardia di Finanza dopo aver dilapidato al casinò circa 9,4 milioni di risparmi dei suoi clienti.

Le parti civili che si sono costituite contro di lui a processo (tramite gli avvocati Federica Rinaldi, Max Starni, Massimo Mambelli, Valerio Versari, Luca Salvetti, Walter Galeotti, Pamela Fragorzi, Francesca Piana, Antonio Baldacci, Cesare Paoli, Giovanni Majo) adesso attendono la lettura della sentenza da parte della Seconda Sezione della Corte d’Appello di Bologna. Ieri davanti ai giudici di secondo grado il difensore del 68enne sampierano (l’avvocato Giordano Anconelli) ha chiesto l’estinzione del reato per prescrizione. La stessa richiesta è arrivata dal procuratore generale.

Le parti civili hanno ribadito la richiesta di conferma della sentenza di primo grado a 7 anni e 9 mesi di reclusione. Ma soprattutto hanno chiesto che ad ogni modo o Vannini o la banca per cui aveva lavorato (Ipibi Financial Advisory Spa poi divenuta Banca Consulia) siano chiamati comunque a risarcire i 9,4 milioni di danno causati. Il timore di chi ha perso i soldi è che ciò non accada visto che Vannini, anche in primo grado, aveva già visto defalcare le accuse a suo carico per prescrizione, con sentenza del dicembre 2019 che quindi non aveva tenuto conto di quanto era in capo d’imputazione prima del giugno 2012.

Dopo aver ascoltato le parti la Seconda Sezione della Corte d’Appello ha rinviato per la lettura del dispositivo al 14 febbraio del prossimo anno.

Vannini, da tempo ospite di una comunità religiosa nelle Marche e che usufruisce solo di una piccola pensione, in primo grado era stato condannato a 7 anni e 9 mesi di cella, con tutte le parti civili da risarcire in solido con la banca per cui aveva svolto compiti da broker prima dell’autodenuncia alla Guardia di Finanza e dell’esplosione del caso.

Vannini raccoglieva soldi da clienti, amici e parenti. Tutti convinti di fare investimenti per il proprio futuro ed i cui soldi invece finivano per alimentare prevalentemente le casse del Casinò di Venezia. Vannini di sé stesso ha sempre detto di essere malato di ludopatia da quando si presentò negli uffici della Guardia di Finanza per denunciare tutti i soldi che si era divorato al gioco.

Fin dal 2007, quando era ancora un semplice promoter finanziario - ha spiegato anche in aula - aveva iniziato a giocare al casinò. Di li sono iniziati anni di viaggi al casinò di Venezia, dove è riuscito a giocarsi in un episodio anche 70mila euro in una volta alle slot machine. La situazione era poi precipitata. Nel 2014 le banche per cui lavorava lo avevano allontanato, convincendolo a dimettersi una volta che non era più ritenuto un soggetto affidabile. L’epilogo c’è stato nel marzo del 2015: Vannini aveva sottolineato ai giudici anche di primo grado che alla fine del percorso non sapeva se togliersi la vita o andare a confessare alla Guardia di Finanza. Scelse di suonare al campanello delle Fiamme Gialle di Forlì per raccontare della sua ludopatia e dei tanti soldi portati via anche ad amici e parenti.

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