"La mia vita in Antartide da ricercatrice": Giulia Giorgetti da San Mauro e l'avventura al Polo Sud

La “Laura Bassi”, la nave rompighiaccio acquistata dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale italiano, è arrivata al porto di Ravenna qualche giorno fa pronta a portare a terra il prezioso carico di ghiacci e sedimenti raccolti in Antartide per essere studiati e analizzati.

Il progetto di ricerca

Su quella nave per un mese ha lavorato anche Giulia Giorgetti, 30 anni, sammaurese trapiantata a Bologna dove lavora come dottoranda in Scienze della Terra al Cnr di Bologna. Nell’ambito di quella che per la “Laura Bassi” era la 38ª missione in Antartide, Giorgetti ha partecipato come ricercatrice del progetto del Cnr “Disgeli”, in realtà un acronimo che sta per “Drone-based acquISition and modelling of morpho-stratigraphic data alonG the TErra Nova Bay (Victoria Land, AntarctIca) coastline”. Scopo del progetto, spiega Giorgetti, è studiare «la dinamica della calotta glaciale antartica negli ultimi 20mila anni», a questo scopo, nel Mare di Ross raccolgono dati geofisici, «che tramite onde sonore consentono di ricostruire la conformazione dei fondali e dei primi metri sotto i fondali. In questo modo - spiega -riusciamo a studiare come le calotte glaciali rispondono ai cambiamenti climatici».

Prima di partire

Giulia Giorgetti è salita sulla nave in Nuova Zelanda il 6 gennaio ed è scesa dopo un mese, il 6 febbraio, non era la prima volta, racconta, che lavorava su una nave, nel suo curriculum di ricercatrice c’era già infatti un’esperienza di raccolta dati nel Tirreno, «era la prima volta però che lavoravo in un contesto così estremo». L’opportunità è arrivata grazie al suo dottorato: «Il mio supervisore ha creato questo progetto di ricerca e mi ha inserito nello staff», ma per partire è stato necessario superare anche una serie di controlli medici e frequentare alcuni corsi specifici di preparazione: «Tra i requisiti per partire il Pnra (il programma nazionale di ricerche in antartide, ndr) chiede il superamento di due corsi, uno generale e uno per imparare ad affrontare eventuali situazione impreviste. A questi si aggiungono una serie accurata di esami medici». Sebbene la rompighiaccio Laura Bassi sia sempre rimasta abbastanza vicina alla base italiana sulla terraferma il contesto di lavoro rimane comunque estremo: «l’ospedale più vicino è a sei ore di volo in Nuova Zelanda, i controlli servono ad assicurarsi che chi parte è in salute e i corsi servono a imparare a mantenere la calma in potenziali situazioni impreviste».

La giornata tipo

Una preparazione che si somma a quella accademica e professionale: «Dopo essermi laureata in Geologia a Bologna, ho cominciato a lavorare come assegnista di ricerca all’Istituto nazionale di scienze marine, quando ho saputo che si sarebbe aperta una possibilità di dottorato al Cnr legata alla ricerca in Antartide ho partecipato, ma nonostante l’ammissione al dottorato la possibilità di partire per l’Antartide è rimasta una possibilità che si è concretizzata solo dopo un anno». Sulla nave la giornata tipo era cadenzata dai turni di lavoro e dai pasti: «Gli orari dei pasti sono tassativi, si mangia in turni ed è importante rispettare il proprio, l’organizzazione del resto della giornata dipende invece dai turni di lavoro, se si lavora di mattina, di pomeriggio o di notte, e da quello che si deve fare: se si deve lavorare in laboratorio o in esterna».

Dentro e fuori la nave

«Sulla nave - spiega - sorvegliamo principalmente l’acquisizione di dati geofisici sulla morfologia del fondale e dei primi metri del sottosuolo», in esterna invece, attraverso carotaggi mirati, si prelevavano campioni di ghiaccio che venivano poi accuratamente etichettati e catalogati per studiare la composizione e la trasformazione dei sedimenti nel tempo: «Studiandoli riusciamo a farci un’idea di quello che è accaduto in passato e questo ci può dare informazioni preziose su quello che succede in una fase di cambiamento del clima» .

Un bilancio positivo

Il bilancio dell’esperienza fatta è positivo, «sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Temevo sarebbe stata un’esperienza molto complicata lavorativamente, ma la complessità è compensata dal grande spirito di collaborazione che si respira a bordo: tra team di ricerca diversi, tra ricercatori e personale di bordo». Insieme a questo spirito di collaborazione, quando le si chiede cosa l’abbia colpita di più dei suoi giorni in Antartide cita il paesaggio, «forse è una risposta banale, ma è davvero un ambiente completamente diverso da qualsiasi altro, quando sono andata io era sempre giorno e gli unici colori sono il bianco del ghiaccio e il blu dell’acqua».

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