San Mauro, Luigi D'Elia e gli albanesi a Villa Torlonia

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Luigi D’Elia da Brindisi è salito sul palcoscenico dopo avere colto e sperimentato altre sollecitazioni della vita.

«Prima di dedicarmi al teatro – ci dice D’Elia – studiavo e sognavo di fare il biologo in giro per il mondo. Poi ho lavorato in una riserva naturale come guida naturalistica; accompagnavo i ragazzi tra campi di contadini, nella macchia mediterranea, sott’acqua con maschera e pinne, insomma raccontavo la natura, da lì sono arrivato al teatro».

Domani 18 febbraio alle 21, nel teatro di Villa Torlonia a San Mauro Pascoli, D’Elia racconta Non abbiate paura (1991-2021). Grand Hotel d’Albania. Monologo questo scritto dal prolifico drammaturgo Francesco Niccolini, nato come lettura dieci anni fa, ora cresciuto in uno spettacolo che D’Elia ha fatto suo. Non per caso, ma per essere stato testimone di quanto questa storia racconta. Nel grido “Non abbiate paura”, frase pronunciata da Karol Woytila nel 1978, dopo la proclamazione a papa, è contenuto anche lo stesso monito che il sindaco brindisino Pino Marchionna gridò ai suoi cittadini il 7 marzo 1991, quando la città fu invasa da 20mila profughi albanesi, in quel primo sbarco italiano di profughi in fuga verso l’Italia-America.

In che modo D’Elia è arrivato a questo progetto?

«La prima occasione fu il ventennale dello sbarco (2011) in cui si pubblicò anche il libro “Diario dall’inferno di Brindisi”, Niccolini ne trasse un primo testo letto da Anna Bonaiuto. Dieci anni dopo, la rabbia per essere sempre dimenticati come città, mi ha spinto a riprenderlo sia da artista, sia da operatore culturale. Da noi i ragazzi non vanno a teatro perché nessuno investe su una rassegna per le scuole, ma solo su abbonati adulti che vanno a vedere Marisa Laurito».

Come si è evoluto in dieci anni il suo monologo?

«Il testo parlava di un assembramento incredibile, 20mila corpi che ne incontravano altri 90mila; un anno fa, chiusi per pandemia, me lo sono sentito addosso in maniera fortissima, e ho voluto rimetterlo in scena, questa volta a memoria. Niccolini ha fatto una ricostruzione traendo da interviste e articoli».

Quale piega assume quello sbarco, trent’anni dopo?

«Raccontare quei profughi di allora mi sembra raccontare di noi oggi, del nostro “andrà tutto bene” del cavolo. È come narrare il nostro disorientamento. Allora erano gli albanesi gli illusi dal futuro migliore, dopo la caduta del Muro lo erano stati gli europei, adesso sembra che siamo noi, nella totale incertezza di questo nuovo tempo, quelli che cerchiamo “il mulino bianco”, il futuro, l’America».

Qual è il cuore morale della storia?

«Il fatto che in quella Brindisi strozzata dalla delinquenza, davanti a 20mila albanesi giunti in 2 notti, un sindaco ebbe il coraggio di dire: “Non abbiate paura, hanno solo fame e freddo, se potete aiutarli fatelo, vi saranno riconoscenti”. Quel sindaco capì che l’unica cosa era accogliere. Ci fu una mobilitazione tra famiglie, mamme che fecero da mangiare, chi ospitò, perfino i contrabbandieri allestirono tavolate in strada. Io avevo 15 anni, ricordo che ero contento perché trovammo la scuola chiusa con gli albanesi alle finestre, e per molto tempo potemmo girare in motorino. Noi ragazzi non avevamo reale consapevolezza, né coscienza civile. Oggi però posso dire dello Stato assente, della mia città lasciata volutamente da sola a scopo dissuasivo. L’umanità dei cittadini contro il cinismo del Governo Andreotti (Governo Andreotti VI-dal 23 luglio 1989 al 13 aprile 1991, ndr)».

L’umanità è dunque il motore del suo spettacolo?

«Sì, mi preoccupo di tenere il fuoco su “l’odore di umano”, così come l’energia vitalissima dei nostri ragazzi mi sta animando nella preparazione alla candidatura di Mesagne, 15 chilometri da Brindisi Capitale europea della cultura 2024. Siamo tra le 10 città finaliste, il 3 marzo l’audizione».

Info: 370 3685093

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