Salvini e la retorica anti salviniana

Si può essere contro Salvini senza essere retoricamente antisalviniani? Cioè, se sono contro, radicalmente contro, l’esibizione del crocefisso nei comizi, la linea barbara sui migranti, inumana e ferocemente strumentale, l’alimentazione continua di paure ed odio, le alleanze sovraniste con i peggiori d’Europa, dalla Le Pen a Farage, passando per Orban, posso però non essere retorico e cieco su questioni non banali come tasse, lavoro e vincoli europei? Cioè, quelli che hanno buon senso davvero, che hanno una cultura liberale, riformista, di progresso, produttivistica, industrialista, possono accomodarsi nella retorica di una certa sinistra e di certi professoroni iperliberisti, che quando sono andati al governo hanno fatto un bel guaio, sulle tasse, sull’evasione fiscale, sui vincoli europei?
Dire “chi ha di più paghi di più” non è un programma, ma una banalità. Salvini vince con le banalità, chi è contro non può permetterselo. È evidente che chi ha di più deve pagare di più, ma è anche super evidente che in tanti, in troppi, pagano di più e basta, pagano di più di quanto dovrebbero pagare. Lavoratori dipendenti, molti professionisti, molti lavoratori autonomi.
Pensiamo di poter ridimensionare Salvini dicendo che non è vero? Dicendo a queste persone che “se tutti pagano tutto, tutti pagheranno di meno”? È un programma questo? È retorica, ed è banale. Perché in attesa che paghino tutti, quelli che pagano già tutto o quasi tutto quello che si paga in Italia, muoiono prima. E muoiono maltrattati dallo stato, che vuole le tasse prima della formazione del reddito e a volte a prescindere dal reddito. E con la faccia cattiva anche. Dobbiamo fare qualcosa prima.
Dire che ci sono 150 miliardi all’anno di evasione fiscale è una stupidaggine.
Forse era vero 10/15 anni fa. Prima della grande crisi. Dal 2008, mentre la ricchezza del Paese, delle imprese, delle famiglie, scendeva, abbiamo innalzato le tasse. Meno 2.5% di ricchezza, pressione fiscale al massimo storico, 43%.
Meno margini alle imprese e più tasse, meno salario e più tasse. Così, anche così, è esploso il ceto medio, che da argine della democrazia contro gli estremismi è diventato parte della reazione populista.
Per recuperare il ceto medio ci deve essere un riformismo nuovo e senza tabù: ridurre le tasse per far crescere le imprese, il lavoro, i salari.
Adesso, vogliamo lasciare questi temi alla Lega di Salvini?
Compreso la “pace fiscale”! Sì, compreso la pace fiscale. I conflitti e le storture degli anni della grande crisi vanno sanati, per ripartire.
E l’Europa? Dire, come dicono i salviniani, che bisogna uscire, è una stupidaggine. Basta l’azione speculativa di un fondo sovrano arabo per mandarci a gambe all’aria. Ma pensare che, bene o male, va bene così e altrettanto stupido. I parametri europei non sono la Bibbia. Se lo fossero il mondo sarebbe in pace. Certo, sforarli significa sottomettersi alle intemperie dei mercati. Certo! Ma se tutto il resto rimane fermo. Se la produttività, dei fattori e delle imprese, rimane quella che è. Se non facciamo le riforme. Se non facciamo le infrastrutture. E se aumentiamo la spesa. Quello che fa l’attuale governo. Un nuovo programma riformista, alternativo, deve saper abbattere molti tabù. Come ha fatto la Germania. I salari e il lavoro crescono con la produttività. È così la ricchezza disponibile. Allora via la retorica contro la flessibilità, via il totem del contratto di lavoro nazionale onnicomprensivo, via la retorica dei diritti senza i doveri. E diamo forza ai contratti aziendali e territoriali, agli incentivi fiscali per fare crescere le imprese, la ricerca, le tecnologie, le assunzioni e i salari.
Se facciamo le riforme si possono modificare quei vincoli per farle e per fare anche le infrastrutture. Così, forse, vince l’Italia. Altrimenti vince Salvini.
Un po’ l’abbiamo fatto negli anni passati, ma con troppa timidezza.
È un passaggio stretto quello fra il salvinismo e la retorica antisalviniana. Fra avventura ed austerità. Ma da lì, credo, bisognerà passare.
Come? Con quali mezzi? È il tema dei prossimi mesi. O dei prossimi giorni, visto lo stato di decomposizione del governo.

(*) già Parlamentare

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