Rossana Conte e la sua Caterina Sforza

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Cinquecentododici anni fa, il 28 maggio 1509 moriva a Firenze Caterina Sforza. «In un’epoca dove, nella società e in ogni ceto, alle donne non era dato ricoprire ruoli che non fossero di moglie e madre, vedova o religiosa, Caterina brilla di luce propria», scrive l’autrice bolognese Rossana Conte, autrice di “Sforza Sforza!”, biografia della “Leonessa di Romagna” signora di Imola e contessa di Forlì, sempre circondata da un’aurea quasi leggendaria.

Conte, una biografia, la sua, come si legge nella presentazione, in cui si fondono romanzo storico, autobiografia immaginaria e diario sentimentale.

«Caterina Sforza è stata una donna che mi ha sempre affascinato. Bella ed esplosiva, crudele e appassionata era una vera forza della natura. La formula del romanzo storico, quindi, mi è apparsa subito inadeguata, volevo riuscire a trasferire sulla carta il calore di questa donna dalle mille risorse e dalle grandi passioni. L’autobiografia immaginaria mediata attraverso il diario sentimentale, a mio parere, avvicina alla donna senza limitarne la grandezza».

Quali sono state le fonti della sua ricerca e quali aspetti della personalità di Caterina l’hanno colpita?

«Le fonti bibliografiche sono veramente oceaniche ed è necessario nel mettersi all’opera attuare una scrematura, eliminando tutti i testi eccessivamente romanzati. Uno dei testi da me consultati, che ritengo fondamentale è certamente “Caterina Sforza “ di Pier Desiderio Pasolini. Interessantissimo “Le ricette di amore e di bellezza di Caterina Sforza” di Elio Caruso, che in piccola parte è riportato in appendice al mio libro. Nel corso delle mie ricerche non mi ha stupito, ma mi ha divertito scoprire che quando Caterina si asserragliò nella Rocca di Ravaldino per resistere al Borgia portò con sé il suo parrucchiere Ser Luchino».

Come poteva Caterina, ha sottolineato, figlia e discendente di cotanti personaggi, diventare diversa da quella che fu?

«Erede a pieno titolo del coraggio degli Sforza e della signorilità dei Visconti, ricevette dalla natura il dono della bellezza, dell’intelligenza e dell’eleganza. L’indole guerriera le derivò direttamente dal capostipite Muzio Attendolo Sforza da Cotignola e con questa, ovviamente, anche un bel po’ di sangue romagnolo! Con queste premesse è difficile immaginare Caterina Sforza nei panni di una tranquilla castellana dedita ai figli e al ricamo».

«I forlivesi piacquero a me e io piacqui a loro», disse Caterina entrando in città. Quale fu il loro rapporto?

«Piacersi non vuole dire amarsi. Ai forlivesi piaceva questa donna così decisa, per certi versi molto romagnola, ma in realtà il timore prevaleva sull’amore. Certamente l’amarono quando nel 1486 la peste colpì la città e Caterina per combattere il diffondersi del contagio chiamò a Forlì un medico, un chirurgo e due monatti, impose la quarantena e rimase in città, prodigandosi tra i malati, incurante del contagio, utilizzando cure e unguenti da lei stessa preparati. Distribuì vettovaglie e medicinali. La sua gestione dell’emergenza consentì di limitare i morti a soli 176. L’amarono ogni qualvolta si prodigò per loro; la temettero quando a seguito degli omicidi dei mariti si vendicò senza guardare in faccia nessuno; la tradirono quando si arresero al Borgia senza colpo ferire; le voltarono le spalle quando ormai sola avrebbe potuto riavere Forlì».

Aldilà degli stereotipi che l’hanno sempre accompagnata, chi fu veramente?

«Una figura unica come quella di Caterina si presta da sempre agli stereotipi, il più scontato ma anche il più lontano dalla realtà è certamente quello che la definiva “una creatura spaventevole, mai spaventata”. Corre inoltre voce che non abbia mai pronunciato, alzando le vesti e indicando il pube, la famosa frase «Qui ho quanto basta per crearne altri!» rivolta a coloro che minacciavano di impiccare i suoi figli. Infine, va detto che la crudeltà con cui vendicò la morte dei mariti oggi può sembrare efferata, ma all’epoca era costume. Concordo, invece, con il giudizio di Pier Desiderio Pasolini: “Essa è grande nella storia non già per aver iniziato tempi nuovi, ma per avervi spiccato come figura antica”».

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