Rosita Copioli presenta il suo "Elena Nemesi"

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«La bellezza va ricondotta dentro di noi a una rigenerazione, a un ricominciamento continuo. Ognuno ha nella propria storia gli esempi da attraversare, su cui riflettere. L’armonia è la difficile sintonia con quanto possiamo percepire tra sfere celesti e daimon, per fare arte, o poesia».

Nelle parole della scrittrice riminese Rosita Copioli l’assunto di partenza della sua tragedia poetica Elena Nemesi, che presenterà il oggi alle 18.30 per Antico/Presente. Festival del mondo antico al Lapidario del Museo della Città in dialogo con Valeria Cicala. L’opera è in libreria da oggi per MC edizioni.

L’autrice ha ingaggiato da tempo una strenua lotta con il personaggio mitologico di Elena, gradualmente depurandolo di qualsiasi scoria intellettualistica a favore di una più moderna interpretazione delle vicissitudini narrate da Omero e Euripide, senza tuttavia sminuirne il retaggio classico.

Copioli, perché “Elena Nemesi” e perché scrivere il nome di Elena «significa aderire alla sua fatalità, qualunque senso abbia»?

«Ho aggiunto al nome Elena quello di Nemesi perché Nemesi, la madre divina, secondo alcune fonti, è la sua origine femminile e il suo doppio. La bellezza, nell’origine di Elena, è legata all’eros per cui lo stesso Zeus la genera. Figura divina o semidivina, non personaggio, Elena è un archetipo, è la bellezza perenne, nella sua molteplicità di aspetti. La bellezza è pericolosa, può essere distruttiva; i sensi di tutto ciò vanno indagati fin dal principio, nelle dinamiche del mito. Se nell’ Iliade Elena è una creatura doppia, innocente e colpevole suo malgrado, che odia se stessa, nell’ Odissea è una regina-maga, al di sopra del bene e del male. Ma Eschilo ne fa un mostro dall’incanto mostruoso, creatura della notte, vicina al caos di Esiodo. Quindi, scrivere il nome di Elena significa comprendere anche in se stessi la fatalità di questa complessità di aspetti, volti, voci, colori, fatta di opposizioni speculari, che riguardano Elena come archetipo della bellezza, il senso delle sue origini, del divino e del sacro».

A che punto della sua lunga ricerca poetica e del suo “teatro di poesia” intorno alla figura di Elena si colloca ora questa tragedia in 4 atti? Perché Elena Nemesi è donna d’oggi e musicista?

«Ho cominciato nel 1985, e ho continuato sempre, anche dal punto di vista saggistico e della ricerca delle fonti, il lavoro su Elena. Avevo quasi finito un libro, volevo finire di osservare l’evoluzione dell’archetipo nel presente. Se nel mio dramma compaiono tutte queste figure ambivalenti, declinate anche nel contemporaneo, in tutto il lavoro, poetico e teorico, si è trattato della ricerca della bellezza, e della riflessione su chi siamo, e su ciò che vogliamo, nella vita e nell’arte. Elena è molte voci, una ingannatrice, anche di se stessa, soprattutto nell’ Odissea. Ricopre ruoli diversi, ma la sua essenza, quella della bellezza vera legata all’eros, è una musica che non può cessare, perché viene dal principio del mondo. L’aspetto nel contemporaneo è fondamentale, troppi gli inganni. Spero che possa farlo capire questa Elena Nemesi che pubblico ora nella sua dimensione anche realistica, di presa diretta dal contemporaneo, oltre che dal mito: l’ho accompagnata dalle sue “Ragioni”, dove cerco di chiarirne tempi e scelte».

In che modo il tema della libertà delle donne e dello stupro diventa denuncia dell’essenza di quest’ultimo «atto cosmico» come incapacità di riconoscere « le donne nella loro interezza, di creatura umana e di individualità»?

«Si deve interrogare la tradizione patriarcale, ed è singolare che la giustizia di una dea, Nemesi, sia stata eseguita tramite un atto che forse lei stessa aveva deciso di accettare, o addirittura di provocare: ossia lo stupro. Come se questa violenza fosse nella stessa natura divina. Mah, il fatto che poi la bellezza sia una forma di vendetta mi pare ricco di sensi. Non siamo in grado di decifrarli in modo univoco: intorno agli archetipi ogni epoca e storia mutano incessantemente. Bisogna meditarli nella loro mutevolissima ambivalenza. È vero che l’archetipo di Elena si presenta al femminile, come “forma delle forme”, scriveva Goethe, e oggetto passivo del desiderio: creatura vista, più che attiva e autonoma attrice della propria scelta (come la presenta Saffo). Tuttavia al fondo Elena è l’androgino che nel profondo di noi si desta alla bellezza, la cerca, e se essa è la forma dell’eros, è anche la via, o la forma della libertà».

Ingresso libero su prenotazione obbligatoria www.ticketlandia.com fino a esaurimento posti.

Info: 0541793851

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