Parla romagnolo e stappa bottiglie da sogno al 67 Pall Mall di Londra

Archivio

Se “per stupire mezz’ora basta un libro di storia”, cosa si può fare allora snocciolando, e stappando, la lista dei vini al bicchiere più nutrita del mondo, 850 etichette fra cui tutti i monumenti dell’enologia mondiale? Stupire chi siede al tavolo con la sua conoscenza del vino e di quella lista e molto oltre, è in fondo il lavoro di Nelson Pari. Trentenne riminese volato in Inghilterra per studiare musica, e l’ha fatto, dal gennaio dell’anno scorso è senior sommelier nel tempio del vino: il club 67 Pall Mall di Londra.
La giornata tipo di un senior sommelier in un locale leggendario.
«Mi sveglio alle 8, alle 10 ho il check delle bottiglie sul sistema della nostra “wine list by the glass”, non deve mancare nulla, devono abbondare soprattutto Borgogna e Bordeaux. Controllato che tutto sia a posto e ciascuno abbia osservato le consegne lasciate la sera prima iniziano i servizi, che ogni giorno sono diversi. Possono passare sei banchieri che vogliono essere accompagnati in una degustazione di annate particolari di Chateau Lafite e Mouton Rothschild che spendono 2.200 pound a testa, o collezionisti ad esempio di Madeira in cerca di etichette particolari. Poi produttori da ogni parte del mondo presenti ai tasting delle loro annate, un giornalista del Sunday che viene per un suo tasting, una cena con master class per chiudere e poi si preparano tutte le consegne del giorno dopo. Insomma stappo ogni giorno i vini migliori del mondo, incamero, imparo. Fra di noi ci schiantiamo di domande e dettagli per dodici ore al giorno su questa o quella bottiglia e memorizziamo il più possibile. Diciamo che sono uno che parla dialetto romagnolo e stappa ogni giorno Romanee Conti».
Però eri andato in Inghilterra per la musica…
«Sì, nel 2011 con una borsa di studio per perfezionarmi in chitarra. E ho preso un master al Trinity college, di fatto al momento il mio titolo è quello di master in musica. Capitò suonando a un matrimonio a cui mi mandò il rettore, incontrai Flavio Buratto, master sommelier Alma, mi vide interessato e mi suggerì di fare un corso. Allora suonavo, andava bene, ma avevo due giorni liberi a settimana e pensai che avrei potuto iscrivermi ai corsi Wset. Passai tutti i livelli e andai la provare in alcuni ristoranti. Andavo a lavorare in giacca, con la parlantina me la cavo. Venivano anche i ristoratori stellati a cercare sommelier ed ebbi e delle offerte, ma dissi di no, perché volevo avere il tempo per suonare. Poi io non sono particolarmente gentile ai tavoli, non mi interessava gran ché servire. Riuscivo però a vendere più vino di altri manager lì da più tempo e questo non piaceva a qualcuno, così mi emarginarono. Fu allora che la mia manager un giorno mi disse, ti ho preso un appuntamento, vacci. Scoprii che mi aveva preso un appuntamento col grande capo: Ronan Sayburn, al 67 Pall Mall. Mi diedero un test con 180 domande a cui rispondere (e molte se le ricorda con precisione, ndr) e mi chiusero a chiave in una stanza. Poi al colloquio quando dissi che sono della Romagna, Ronan mi snocciola a memoria le prime annate dell’albana Scacco Matto di Fattoria Zerbina».
Insomma è andata bene.
«Un mio maestro di chitarra mi disse una volta che tutti nella propria vita hanno almeno due o tre occasioni per diventare Pat Metheny, solo che di solito dicono no. Io ho detto sì, quella era senza dubbio una delle mie due o tre occasioni. Con la musica continuo, alcuni anni fa ho inciso un cd con jazzisti importanti, che suonano di solito con Stefano Bollani. Ma adesso mi concentro sul vino e completo il ciclo di esami per diventare master sommelier, dicono sia l’esame più difficile al mondo, mi manca l’ultimo livello… Quando le persone arrivano al club, la prima cosa che guardano è il tuo “grado” appuntato sulla giacca, sanno con chi hanno a che fare e ti mettono alla prova. Devono fidarsi, perché sono persone che spendono anche 600 pound a bicchiere, si passano Haute Brion come se fosse birra… Mi sono detto: se riesci a gestire quei tavoli puoi fare qualsiasi cosa».
Il vino italiano a che punto è in questa lista fantastica che tu hai a mano ogni giorno?
«Partiamo da un concetto: l’Italia del vino all’estero nasce con i Supertuscan, prima del Sassicaia non esisteva. E questo ti dice che il vino si fa coi soldi. E quando l’Italia comincia a muoversi nel mondo del vino parte dal mercato americano. Lì vogliono conoscere le storie, chi lo fa e più sono storie sorprendenti e meglio è. In Inghilterra invece ti chiedono… se la vigna è a pergola e che tipo di pergola, e tutti i dettagli di vinificazione, vogliono sapere solo cosa bevono. I produttori italiani poi hanno una peculiarità che è solo loro: dire tutti una cosa diversa. Io per raccontare l’Italia ad esempio propongo spesso masterclass di Barolo, se guardi la mappa del Barolo è un caos e se vado nelle vigne di dieci produttori, ognuno mi racconta una cosa diversa. Non si parlano far loro, non fanno test comparativi, succede ovunque così. Ho sempre l’impressione che ognuno debba convincere che è lui e solo lui il più figo di tutti. Ma se è il suolo che fa tutto?».
Anche in Romagna…
«…e magari lì parlano male del vicino… Però in Romagna c’è un progetto da cui partire ed è quello di Modigliana. Ci sono altri territori con identità spiccate, ad esempio Predappio che forse sta già facendo a sua volta questo lavoro, o Brisighella, che però è frammentato. Ma a Modigliana fanno qualcosa che altri finora non avevano fatto: i produttori si sono messi insieme. Certo c’è stato un grande lavoro di Giorgio Melandri che da critico è diventato produttore lui stesso. Ma devo dire che quando li sono andati a conoscere, ecco, lì ciascuno mi ha raccontato il proprio vino, ma tutti hanno raccontato le stesse cose su un territorio e una storia. Questa è una novità importante. Sto lavorando per portare una masterclass Modigliana al Pall Mall, succederà a breve. In lista al Pall Mall ci sono ad esempio le bottiglie de Il Pratello di Emilio Placci».
La strada è il racconto del territorio insomma.
«La critica è cambiata. Non sono solo io che non sopporto più certi sproloqui quando si parla di vino. Le invenzioni di sentori assurdi e inesistenti, se parlo di fungo è fungo, se parlo di limone è limone. Spesso chi parla di vino in Italia non si fa capire, fa sentire le persone stupide, e non ha senso. In Romagna oggi non c’è una critica abbastanza forte che se ne prenda cura, che invogli qualche collezionista a farsi una cantina di Romagna, ad esempio. Eppure ci sono bottiglie fantastiche»
Due, come esempio?
«Il Sauvignon Blanc di Vigne dei Boschi o Anforghettabol di San Biagio Vecchio, ad esempio».

#getAltImage_v1($tempImage)

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui