Roberto De Lellis, direttore Ater: "Al teatro serve legge quadro"

Spettacoli

CESENA. La nuova chiusura dei teatri ha fatto ripiombare nella disillusione il mondo dello spettacolo. Ciononostante gli operatori si sforzano a programmare un 2021 più luminoso. Fra questi c’è anche Roberto De Lellis (1957) romano di origine, emiliano di adozione; dall’1 settembre è direttore artistico di Ater, circuito distributivo multidisciplinare dei piccoli e medi teatri che programma stagioni di prosa, danza, musica, circo, nei teatri che gestisce. In Romagna cura le stagioni dei teatri Della Regina di Cattolica, Comunale di Russi, teatro di Morciano e ha una convenzione con il teatro degli Atti di Rimini. Nel 2019 Ater ha ricevuto 530 mila euro dallo Stato e 870 mila dalla Regione, oltre a contributi dei comuni del circuito.De Lellis è approdato al timone di Ater dopo lunga attività manageriale iniziata nel lontano 1980 al festival di Santarcangelo. Dal 1990 si è occupato del Teatro delle Briciole di Parma, in seguito del Gioco Vita di Piacenza, fino al circuito AterDanza. Due anni fa ha favorito la nascita del Corso professionale “Animateria” per la formazione di giovani teatranti di figura.
Come si sente De Lellis al timone di Ater in tempo di pandemia?
«Mi sento un direttore sfortunato ma fresco, che cerca di guardare oltre».
Dal mese di marzo di questo 2020 horribilis ad oggi, cosa è stato fatto nel settore dello spettacolo dal vivo?
«Direi quasi nulla sul piano legislativo se non interventi di ristoro, simili a elemosine. Il problema è di mettere mano a un sistema squilibrato da sempre dove i teatri lirici assorbono la metà del Fus (Fondo unico per lo spettacolo) e ai restanti comparti rimane ben poco. Per non parlare dei teatranti, compagnie, operatori non finanziati a cui è stato dato un sostegno a pioggia, circa 10 mila euro, per il primo lockdown».
Come si può affrontare l’annoso problema in questa pesante attesa?
«Intanto si potrebbe realizzare una riforma seria per i lavoratori e il lavoro dello spettacolo dal vivo. Una riforma degli ammortizzatori sociali e delle tutele va fatta subito, sono provvedimenti semplici che possono andare in vigore in 60 giorni. Poi il sistema andrebbe riformato profondamente, e io dico che ci vorrebbe molto più teatro pubblico e molto meno teatro privato. Non possiamo essere assimilati alle sale Bingo!».
In che modo “riformare profondamente” il settore?
«Esiste già una Legge quadro pronta dal 2017, arrivata a un soffio dall’approvazione in Parlamento ma che elezioni e dinamiche della politica hanno tenuta ferma. È fondamentale che venga ripresa: detta i principi per dare consistenza al sistema eliminando le asimmetrie tra chi è garantito e chi non lo è (Ruggero Sintoni di Accademia Perduta ha invocato la ripresa della stessa legge ai microfono del Tg3, ndr)».
Veniamo al palcoscenico; nel suo percorso si è a lungo confrontato con danza e teatro di figura, linguaggi trascurati dai teatri. Cosa si propone?
«Il mio passato nella danza, così come nel teatro di figura e ragazzi, mi porta ad avere attenzione per questi generi, nei cartelloni 2021/22 spero di poter dare loro l’attenzione che si meritano. Altrettanto voglio fare per la musica popolare contemporanea. Sento che c’è grande sofferenza nella musica indipendente dal vivo. Desidero realizzare una piccola rete tra club e teatri sensibili alla musica pop».
In attesa di momenti migliori, cosa si può fare in questo periodo?
«Nel Teatro di figura e Ragazzi la situazione è drammatica, accentuata dalle scuole chiuse. Possiamo sopperire ahimè con lo streaming e con le forme di digitalizzazione. Non è la stessa cosa sul fronte dello spettacolo, però sul piano educativo funzionano. Abbiamo in animo un progetto con Aterballetto; lezioni on line sui diversi stili della danza con un danzatore e uno storico della danza, a inizio 2021».
Il circuito di danza E’ Bal mette insieme variegate proposte contemporanee, ma tutte piccole produzioni che non colmano il gap dell’offerta di danzatori costretti a emigrare per mancanza di lavoro, e la disparità tra una formazione basata sulla danza classica e un’offerta tutta vocata alla ricerca autoriale.
«L’anello debole della danza è la produzione, lo ripeto da anni, la distribuzione sarebbe pronta. In Italia manca un’offerta produttiva adeguata, c’è pigrizia negli operatori. Aterballetto è l’unico centro coreografico pubblico in Italia, in grado di investire su coreografi anche internazionali. Per il resto ci sono compagnie che faticano a sopravvivere pure valenti, come può essere a Reggio la compagnia di Michele Merola. Si viaggia sulla volontà dei singoli, Daniele Cipriani è l’unico produttore ma è privato, mancano produttori pubblici. La formazione della danza è quasi tutta privata, con 17-18 mila scuole italiane in gran parte di tecnica classica, dove poco si sa della formazione degli insegnanti. Si sopperisce con il talento creativo, ma manca la filiera».
Cosa intende per filiera?
«Intendo formazione, produzione, distribuzione. Se manca un anello cade tutto. Per questo il sistema va ripensato, disegnato dall’alto, decidendo come e quanto investire nella filiera».
Quanto incide la formazione?
«La produzione è fortemente correlata alla formazione, ma la formazione è estremamente trascurata in Italia. Occorre investire tanto sull’innovazione formativa, finché non succede faremo sempre cose piccole. È una priorità investire sulla formazione sia degli spettatori, sia del personale dei teatri».
Come sta preparando la riapertura dei sipari romagnoli?
«A Cattolica partiranno 3 laboratori teatrali coordinati da Silvio Castiglioni, per formare il pubblico alla conoscenza di ciò che andranno a vedere. Sulla scelta degli spettacoli la discriminante è il luogo fisico. Il teatro di Cattolica consente di ospitare lavori di rilievo, quello di Russi pure storico ha un palco piccolo, ma riusciamo a realizzare una piccola stagione concertistica; Morciano è un ring. Di novità c’è che abbiamo avviato un discorso con il teatro di Cesenatico per un eventuale ingresso in Ater nel 2021-22».
Cosa farebbe se fosse un produttore?
«Investirei sul circo contemporaneo, una forma nuova che piace anche ai giovani».

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