Riolo Terme, un'ottima annata per lo scalogno di Romagna Igp

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È un’ottima annata. Chi è alla ricerca dei sapori veri dell’orto romagnolo, o chi li conosce e li ama già, sa che è arrivata l’ora di un imprescindibile ingrediente della cucina più autentica di Romagna: lo scalogno. Quello nostrano, più piccolo e saporito che si rigenera dalla piantumazione diretta dei bulbi dell’anno prima e non da semi, perché il vero scalogno romagnolo fiori non ne fa. Piccolissima produzione certificata Igp dal 1998, a rischio però di scomparsa fino a un paio di anni fa, quando chi lo produceva secondo il disciplinare era rimasto un solo contadino. La rinascita coincide di fatto con la creazione del primo Consorzio dei produttori. «Siamo nati a giugno 2018 come consorzio, oggi siamo 16 soci di cui 11 già certificati Igp, ma aumenteremo dall’anno prossimo» spiega il vicepresidente e maggiore produttore di Scalogno di Romagna Giordano Alpi. “Maggiore produttore” vuol dire che ne coltiva 6mila mq fra Zello e Giardino, nell’Imolese, una delle tre aree insieme a Riolo Terme a Modigliana e Tredozio identificate dal disciplinare. Piccole piantagioni di fatto, ma ne esistono di ancora più piccole, anche perché in totale si parla di 4 ettari «che quest’anno daranno in media una sessantina di quintali di prodotto ciascuno – assicura Alpi –. La parte che per la prima volta destiniamo all’ingrosso, compresa la grande distribuzione locale, è già tutta venduta. Poi resta la vendita diretta dei produttori e soprattutto la Fiera di Riolo».

La Fiera, arrivata alla sua 27ª dizione e iniziata giovedì, che continuerà fino alla serata di oggi , l’appuntamento annuale con la cucina a base del prezioso e soprattutto antico bulbo. La sua storia si perde infatti nei secoli, l’aveva ricostruita negli anni Novanta l’erborista riolese Giorgio Visani, tra i primi ad attivarsi per la creazione del marchio Igp. Fu lui a mutare genere a quella che i romagnoli hanno sempre chiamato “scalogna”, rifacendosi al nome scientifico allium ascalonicum di cui scrissero anche Plinio, poi Ovidio e Boccaccio e di cui pare fosse ghiotto Carlo Magno. Un frutto dell’orto che rinasce solo da se stesso, con la quota di bulbi tenuta da parte a ogni produzione e ripiantata a novembre, nello stesso terreno solo una volta ogni cinque anni.

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