Rinnovabili, sono oltre 300 i progetti fermi nei cassetti

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C’è un grande potenziale inespresso nel panorama italiano delle rinnovabili. A mettere in fila i numeri può sembrare quasi incredibile, ma il settore di cui tutti oggi parlano e per il quale i nostri Governi si sono presi precisi impegni con l’Europa è sostanzialmente fermo. Sommerso fino al collo dalla burocrazia, annaspa da anni alla disperata ricerca di qualcuno che si impegni a snellirne i processi autorizzativi che, in realtà, ed è questa la cosa più incredibile, dovrebbero essere per legge già oggi molto rapidi. La chiacchierata con Andrea Tozzi, amministratore delegato della Tozzi Green di Mezzano, inizia da un dato esemplificativo: sul territorio nazionale l’azienda in trent’anni di lavoro ha installato circa 100 megawatt di potenza rinnovabile di proprietà, a fronte di 400 megawatt di progetti fermi nei cassetti dei ministeri romani.

Prima di entrare nel vivo, c’è un punto sul quale le chiederei una risposta secca: quali sono i tempi che la legge prevede per l’autorizzazione di un progetto sulle rinnovabili e quali, invece, quelli reali?

«La legislazione oggi sarebbe molto chiara: dopo la presentazione del progetto, l’iter autorizzativo dovrebbe essere chiuso in non più di 180 giorni, con una conferenza dei servizi che dia parere favorevole oppure negativo. La media reale in Italia? Dai cinque agli otto anni».

Qual è, secondo lei, la conseguenza più impattante di queste tempistiche, oltre a quella logica che non procediamo nel processo di transizione verso sempre maggiori fonti green?

«C’è una problematica di fondo che spesso non viene colta, ed è che i progetti fermi in attesa di autorizzazione si riferiscono a strumentazioni che, col passare del tempo, sono diventate inefficienti e obsolete rispetto a quelle attuali. La conseguenza, quindi, è che quando arriva il sì dal Ministero, si andranno ad installare rinnovabili “vecchie”».

Non basterebbe agire con una variante?

«Certo, ma vorrebbe dire sostanzialmente ricominciare daccapo, o comunque riaggiornare il progetto con il rischio che venga di nuovo bloccato».

Da quanti Enti dovete ricevere l’ok per realizzare un nuovo impianto e in quale, solitamente, vi arenate?

«Può sembrare incredibile, ma su un progetto di impianto per nuove rinnovabili si devono esprimere 35 enti differenti. Solitamente, e parlo per noi, riceviamo parere favorevole da quasi tutti, persino e soprattutto sulle valutazioni di impatto ambientale. Due sono gli Enti con i quali troviamo maggiori ostacoli le soprintendenze nei casi dell’eolico, perché dicono che deturpano il territorio, e le autorità di bacino per il fotovoltaico, specialmente se parliamo di quello in agricoltura».

Il risultato, immagino, sono quei 400 megawatt di progetti fermi; mentre le conseguenze?

«Che, semplicemente, non avanziamo sul tema rinnovabili. Il ministro Cingolani qualche giorno fa ha espresso soddisfazione per lo sblocco di 3 gigawatt, ma quello che non dicono è che erano progetti fermi da 15 anni. Le do un altro dato: dal 2012 ad oggi in Italia abbiamo installato solo 5 gigawatt di potenza rinnovabile, arrivando a quota 56 gigawatt totali. Per centrare l’obiettivo che ci siamo dati e che è stato concordato con l’Europa, ossia di raggiungere il risultato di 130 gigawatt entro il 2030, da oggi in poi dovremmo viaggiare al ritmo di 8 gigawatt di potenza installata ogni anno. Capisce anche lei che non è possibile».

Non è possibile o, piuttosto, manca la volontà?

«Secondo la mia personale sensazione, la verità propende verso la seconda opzione. Consideri che in Italia ci sono oltre 300 progetti fermi. Di questi, 12 sono i nostri e, se domani ci dessero il sì, noi saremmo in gradi di portarli a termine in tre anni massimo. Come noi, immagino che i tempi siano i medesimi per le altre aziende, quindi l’obiettivo si potrebbe centrare, a mio avviso, in pochissimo tempo, ma servono le autorizzazioni».

Dato che, il tema, è anche una questione di prezzo, quanto si risparmierebbe con le rinnovabili?

«Il costo si aggira tra i 65 e gli 80 euro per megawatt/ora. Attualmente l’energia, anche per via della particolare congiuntura economica e geopolitica, la paghiamo 230 euro per megawatt/ora. Abbiamo provato a calcolare l’impatto economico per l’Italia e stiamo parlando di un risparmio intorno ai 10 miliardi di euro all’anno».

Voi avete portato le rinnovabili in Madagascar e in Perù con un grande progetto di elettrificazione rurale. Avete incontrato altrettanti ostacoli?

«Direi proprio di no. Anzi, in Madagascar ci hanno accolto con le braccia aperte, perché abbiamo ridotto i costi dell’energia di un terzo. La sola richiesta del Governo locale è stata quella di reinvestire i ricavi nel Paese, allo scopo di produrre altra energia pulita. In Perù abbiamo invece installato 220mila kit fotovoltaici in piccole comunità rurali».

Lei dove vede il futuro delle rinnovabili?

«Sicuramente sull’agrovoltaico, sia in aree abbandonate, che in aree agricole, perché oggi si possono fare entrambe. Poi l’eolico, sul quale si stanno facendo importanti sviluppi anche per l’eolico offshore. Su quest’ultimo punto, ad esempio, abbiamo un progetto da 130 megawatt fermo dal 2008 al largo di Cerano, in Puglia, dove si trova la centrale a carbone più inquinante d’Europa».

Per concludere: lei è fiducioso, nonostante tutto?

«Dobbiamo esserlo. Per la prima volta abbiamo un Ministero per la transizione ecologica e il Presidente Draghi ha detto che nel prossimo Consiglio dei ministri ci saranno diverse norme per snellire le autorizzazioni e diversi progetti sbloccati. Speriamo, perché i primi protocolli della lista sono proprio i nostri. Ma ne guadagnerebbe anche il Paese: più autonomia energetica, a costi minori e senza impatti ambientali. È una situazione win-win. Per questo sono molto fiducioso».

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