Violentata a 15 anni in spiaggia a Rimini, il branco chiede scusa per evitare il carcere e ottenere la messa alla prova. Nessun risarcimento alla vittima

Rimini

«Ci dispiace abbiamo sbagliato. Abbiamo capito di averle fatto del male». Lo hanno detto al giudice, nell’udienza dello scorso 13 aprile, tre dei 5 ragazzi indagati dal Tribunale dei Minori di Bologna per lo stupro di gruppo di una 15enne, avvenuto la notte del 6 giugno del 2021 sulla spiaggia libera di Rimini, non lontano dalla ruota panoramica. Il 2 giugno prossimo saranno sentiti gli ultimi due giovani e se il “ravvedimento” degli indagati sarà ritenuto genuino, per tutti loro, al termine dell’udienza del 24 settembre prossimo, il Tribunale dei minori darà il via libera alla messa alla prova, misura alternativa alla pena detentiva.

Il percorso psicologico

I fatti sono particolarmente gravi, ma all’epoca i 5 ragazzini avevano tra i 15 e i 16 anni per cui la normativa permette, nel caso in cui al termine di un percorso psicologico fatto con gli assistenti sociali il pentimento come l’ammissione di responsabilità appaiano autentici, di evitare il carcere. Per lo stupro di gruppo rischiano, del resto, pene fino ai 6 anni di reclusione. Non in riformatorio ma in un carcere per adulti, visto che oggi quei 5 giovanissimi sono tutti maggiorenni. Nessun risarcimento, né la possibilità di costituirsi parte civile, invece per la ragazza di 15 anni che subì l’aggressione.

Le tesi difensive

La legge sui minori non prevede, oggi in Italia, la costituzione in giudizio per la parte lesa nonostante la gravità dei fatti e dei reati commessi. Violenza di gruppo che, stando alle tesi difensive (gli avvocati sono Giovanni Collura, Eriberto Montespini del Foro di Forlì-Cesena, Gianluca Brugioni, Matteo Zucconi, Giuliano Renzi del Foro di Rimini) non tutti commisero quella sera, o almeno vi sarebbero dei distinguo tra le posizioni. I fatti appurati dalla Squadra mobile della Questura di Rimini, la sera tra le 23 e la mezzanotte del 6 giugno del 2021, non lasciano spazio a molte interpretazione. Innanzitutto perché la polizia intervenne praticamente subito dopo i fatti visto che una Volante era già in zona per sedare una rissa. Inoltre la ragazzina diede immediatamente l’allarme. In lacrime raccontò tutto prima alla polizia di Stato e poi al telefono al padre. «Mi hanno stuprato in spiaggia». A 15 anni, aveva denunciato così quello che quel gruppo di coetanei le aveva fatto, lasciandola poi stesa una brandina sull’arenile. Visitata in ospedale, con al suo fianco il papà, l’adolescente era stata quindi sottoposta agli accertamenti clinici e i sanitari avevano confermato i timori. Due amiche dell’adolescente la sera stessa avevano confermato le circostanze e la polizia era riuscita a risalire all’identità dei 5 coetanei a cui erano stati poi sequestrati i cellulari e, almeno in un caso, anche gli abiti. Nei telefonini gli inquirenti trovarono i video e le foto dello stupro di gruppo che i giovani avevano condiviso nelle chat.

L’intervento e la fuga

Dalle testimonianze e dalle indagini, inoltre, era quindi emerso un racconto dell’orrore dove prima uno dei ragazzi si era appartato con la 15enne, resa più vulnerabile dall’uso di alcol, e dopo aver avuto la sua parte aveva invitato gli amici ad imitarlo. Solo l’intervento di un gruppo di ragazzi più grandi aveva messo fine allo stupro e dato la possibilità alla giovane di scappare a chiedere aiuto. Oggi i 5 giovani sono tutti maggiorenni, o poco manca, studiano e lavorano, e chiedono “scusa” per qualcosa che non è facile da scusare in nessuna circostanza. Anche la vittima, difesa dall’avvocato Monica Cappellini, quest’anno diventerà maggiorenne, ma per lei la legge non prevede alcuna costituzione di parte civile né un risarcimento, nonostante il ricordo di ciò che le è accaduto rimarrà per anni, ci si augura non per sempre. Una disparità, tra vittima e stupratore, che è una lacuna legislativa da sanare quando si parla di legge sui minori vista anche la precocità con cui i giovanissimi oggi si avvicinano al sesso.

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