Un invito disatteso percepito come uno sgarbo. Giacomo Puccini

Rimini

Sempre al centro della curiosità giornalistica – più volte da noi citata in questa rubrica di “Fatti e personaggi della cronaca riminese tra Ottocento e Novecento” per la sua intensa vita artistica e mondana – il soprano Elena Bianchini Cappelli (1873-1919), nell’agosto del 1906, concede al reporter del Gazzettino Verde una breve intervista incentrata sulla sua residenza estiva nei pressi della foce del torrente Ausa. Le parole di questa conversazione ci consentono di far emergere uno spiacevole episodio: un invito disatteso, percepito dall’artista alla stregua di uno sgarbo alla sua carriera di cantante lirica.
Partiamo dall’intervista datata 17 agosto ed effettuata dopo un applauditissimo concerto tenuto a scopo benefico nel salone dello Stabilimento bagni. «La prima volta ch’io venni a Rimini – asserisce Elena Bianchini Cappelli rivolgendosi al redattore – restai tanto entusiasmata dal vostro lido che nel partire avevo già ordinato a un costruttore di fabbricarmi questa villa che mi è cara, per ciò che mi ricorda, le gioie e le ansie della mia vita d’arte. Ella rammenterà come mio marito volle festeggiare l’inaugurazione di questo mio piccolo paradiso mettendo in scena la Tosca. E da quell’anno ho fatto Rimini mia dimora prediletta; e appena ho un poco di riposo vengo fra voi. La mia vita qua è semplice; e trascorro tutto il mio tempo al mare. Oh! Sì, il mare è il mio sogno dorato! Non mi occupo d’altro. Fatico tanto l’inverno!».


Ed ora l’increscioso episodio oggetto di questo articolo. Prima di affrontarlo, tuttavia, è necessario anticipare alcune chiose non dette al cronista dalla cantante. Elena Bianchini, moglie dell’impresario teatrale Fortunato Cappelli, nell’agosto del 1901 interpretò al Teatro Vittorio Emanuele II Leonora nel Trovatore (libretto di Salvatore Cammarano, musica di Giuseppe Verdi). L’opera, sotto la direzione artistica del concertatore Achille Abbati (1857-1914), riscosse uno strepitoso successo. In quella circostanza la cantante rimase talmente affascinata dalle delizie della spiaggia di Rimini da volervi costruire una dimora, inizialmente chiamata “Villa Elena” e in seguito “Vissi d’Arte”. Questo «piccolo paradiso», che in pochi anni sarebbe diventato punto d’incontro di musicisti, artisti e letterati, fu inaugurato nell’estate del 1902 con uno straordinario contorno celebrativo. Il marito, infatti, non solo mise in scena nel massimo teatro cittadino l’opera lirica Tosca (libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, musica di Giacomo Puccini) interpretata da sua moglie, ma invitò al galà inaugurale di “Villa Elena” anche i più bei nomi della cultura musicale italiana. Tra questi, naturalmente, il compositore Giacomo Puccini (1858-1924).
La presenza del maestro lucchese, assicurata ai coniugi Cappelli fin da quando erano iniziate le trattative per l’allestimento della Tosca, viene improvvisamente a mancare. Un’assenza inspiegabile, che troviamo certificata in due telegrammi e in una lettera, resi pubblici da L’Isotteo del 7 e 12 agosto 1902 e da L’Ausa del 15 agosto 1902. Tre “testimonianze” che aprono e chiudono l’imbarazzante questione. Le proponiamo in ordine cronologico iniziando dal telegramma spedito dal sindaco di Rimini Enrico Frioli a Giacomo Puccini: «Giunta municipale nome cittadinanza sarà grata S.V. se accettando invito impresario Cappelli verrà qui onorare sua presenza rappresentazione Tosca che Rimini apprezza come importantissimo applaudito avvenimento artistico». La risposta del musicista al sindaco è immediata e decisamente fredda: «Molto onorato per suo telegramma sono dispiacente non poter venire costì perché occupatissimo. Distinti ossequi». Ed ecco infine lo scritto, cordiale ma contorto, che il compositore invia all’impresario: «Carissimo Cappelli, il ripetuto vostro invito, la buona accoglienza che ottiene Tosca a Rimini dovrebbe farmi decidere a venirci ma purtroppo ripetovi che non posso muovermi, mille ragioni che non sto ad esporvi me lo impediscono: la più forte proibizione a muovermi mi viene dal lavoro cui accudisco ininterrottamente. Pregovi di scusarmi, pregovi di farvi interprete ed avvocato presso tutti i gentilissimi che mi vorrebbero costì. Augurandovi buona messe di affari e salutandovi caramente insieme alla valentissima vostra signora, credetemi sempre vostro aff.mo G. Puccini».


Dalle parole della corrispondenza non traspaiono «le mille ragioni» che impediscono la venuta a Rimini del musicista. In quel periodo Puccini è a Torre del Lago intento a scrivere la musica di Madama Butterfly, un’opera esotica, che lo tiene immerso in una meticolosa ricerca sugli usi e costumi del popolo nipponico. Proprio perché a conoscenza di questo impegnativo lavoro Fortunato Cappelli si era reso disponibile ad andarlo a prendere in automobile. Del resto una puntatina a Rimini per assistere alla rappresentazione della “sua” Tosca, sarebbe stata per Puccini più che doverosa, sia per il successo che otteneva sia per i pressanti inviti che gli erano stati rivolti e per l’amicizia che fino a quel momento lo legava ai coniugi Cappelli. Tanto più che il compositore era stato messo al corrente che la città gli avrebbe tributato «solenni accoglienze». Tra queste, oltre al gran galà di “Villa Elena”, c’era pure la consegna da parte del Municipio di una artistica medaglia d’oro appositamente coniata per l’evento, con la data delle recite della sua opera al Vittorio Emanuele «dal 26 luglio al 15 agosto 1902».

Il diniego da parte di Giacomo Puccini ai ripetuti inviti, suscitò amarezza e dette adito a incresciose congetture e soprattutto non fu digerito da Elena, che lo considerò un affronto, addirittura una macchia alla sua vita artistico-mondana riminese.

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