Selleri: capitale? Rimini giochi bene le sue carte

Rimini

Rimini capitale italiana della cultura 2024? Arriva il parere di un’esperta. Sì, perché la riminese Francesca Selleri (classe 1989), ricercatrice e professionista nel fundraising e nel marketing culturale, da anni segue progetti in questo ambito. Al momento lavora al Piano strategico della cultura di Pistoia (operazione nata in seguito all’elezione della città a capitale nel 2017). Ha accumulato importanti esperienze partecipando all’organizzazione di Matera capitale europea della cultura 2019 e ha collaborato a un progetto per Parma 2020, poi prorogata al 2021 a causa della pandemia. «Penso possa essere utile iniziare facendo una distinzione tra capitale europea e capitale italiana della cultura», spiega Selleri.

In cosa si differenziano?

«Matera è stata eletta capitale europea della cultura per l’anno 2019, con un budget di circa 50 milioni di euro. Il titolo viene assegnato ogni anno a due città di due diversi Stati europei. Il prossimo turno per l’Italia dovrebbe essere nel 2033, salvo slittamenti dovuti alla crisi pandemica. Occorre fare qui una specifica. A sorpresa, tornerà a essere capitale europea della cultura una città italiana anche nel 2025, per via di una situazione eccezionale: per quell’anno il Paese designato è la Slovenia (non sarebbe ancora il turno dell’Italia), ma la città vincitrice, Nova Gorica, si è candidata insieme alla città friulana di Gorizia con un progetto dal claim “Borderless” di grande valore simbolico e quindi ne gioverà in qualche modo anche il nostro Paese. Per quanto riguarda invece le capitali italiane della cultura, questo titolo viene assegnato annualmente dal ministero per i Beni e le attività culturali. La città vincitrice riceve come premio 1 milione di euro».

Di cosa si occupava a Matera?

«Dopo l’importante esperienza lavorativa a Santarcangelo dei teatri, mi sono trasferita a Matera per due anni, dove ho lavorato a un ritmo molto intenso imparando tanto. Occupandomi di fundraising e marketing, ho seguito in particolare la promozione del brand, la gestione delle sponsorizzazioni e il project management degli eventi correlati».

Come nasce il titolo di capitale italiana della cultura?

«L’idea è nata nel 2014 su iniziativa del ministro Dario Franceschini, con l’intento di premiare le città finaliste a cui la vittoria di Matera aveva tolto il sogno del titolo europeo (Lecce, Ravenna, Perugia, Cagliari, Siena). A seguire negli anni si sono succedute: Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), poi è stato lasciato spazio a Matera. Nel 2020 sarebbe stato l’anno di Parma slittato al 2021, per il 2022 ha vinto Procida, il 2023 celebrerà insieme Bergamo e Brescia duramente colpite dalla pandemia, e la prossima finestra utile è il 2024».

Come dovrebbe muoversi quindi Rimini per candidarsi al meglio?

«Come suggerisce l’economista Pier Luigi Sacco, una città dovrebbe domandarsi perché ha bisogno di questo titolo. Dunque chiediamoci: perché Rimini ha bisogno di questo titolo? Cosa potrebbe darle di più il titolo rispetto alle politiche culturali che in ogni caso si impegnerebbe a realizzare? È fondamentale considerare il processo che la candidatura genera prima, durante e dopo. Si avvia un percorso di progettazione culturale, una buona pratica, che poi dovrebbe continuare negli anni a seguire. Importante per Rimini sarebbe anche il riconoscimento – agli occhi italiani e internazionali – della trasformazione identitaria che ha vissuto in questi anni (a livello culturale, sociale, urbanistico). Escluderei dunque l’ipotesi di intraprendere un percorso di candidatura solo per una motivazione economica – perché il milione di euro da vincere non è una cifra così alta da essere il motivo fondante per un comune medio- grande come il nostro – o per il ritorno mediatico e la visibilità che ne deriverebbero, perché sono aspetti che con il tempo tendono a svanire».

In che modo nascono i progetti?

«Con il passare del tempo la qualità dei progetti si è fatta sempre più alta, così come la concorrenza. Da riminese sarei davvero orgogliosa se vincesse e per questo mi piacerebbe che ci arrivasse in maniera preparata. Al momento della candidatura bisogna presentare il progetto, cioè il dossier. Rimini ha tutto a livello di infrastrutture, istituzioni, mentalità e predisposizione, deve solo giocarsi al meglio le proprie carte nel progetto vero e proprio perché è quello che soprattutto viene valutato in fase di selezione. Per capire su quali obiettivi puntare sarebbe opportuno avviare un processo di ascolto e partecipazione che interpreti i bisogni del territorio. Il progetto dovrà portare giovamento alla comunità e rifletterne le esigenze. Per questo motivo occorre istituire tavoli di lavoro con gli altri comuni, ma anche procedure di gestione pubblico-privata, che possano includere differenti stakeholder, dalla Regione Emilia-Romagna alle imprese, che potrebbero sostenere il progetto nella sua realizzazione. Il cuore del dossier sarà poi il programma culturale, la cui creazione dovrebbe prevedere il coinvolgimento delle organizzazioni del territorio, possibilmente con progetti a lungo termine. La cornice entro cui operare è certamente l’ Agenda 2030 con i suoi 17 obiettivi (tra i quali: sostenibilità, parità di genere, inclusione sociale, occupazione giovanile)».

Su cosa potrebbe puntare Rimini?

«Rimini ha tanti punti di forza. Il nostro territorio può valorizzare in maniera strategica sia la fascia costiera sia l’entroterra, poi oltre al patrimonio storico e culturale potrebbe essere stimolante porre attenzione alle arti contemporanee e agli artisti emergenti, con produzioni originali che potrebbero essere affidate alle realtà culturali più affermate che sono il nostro fiore all’occhiello, come ad esempio Santarcangelo dei Teatri, la compagnia teatrale Motus, e L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino».

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