Rimini, i tentacoli della mafia e l'avanzata della criminalità nigeriana

Rimini

«Il processo Aemilia è solo la punta di un iceberg!». Il radicamento della criminalità organizzata in regione è oramai un segreto di Pulcinella, ma le parole del procuratore capo della Dda di Bologna Giuseppe Amato nell’aula magna del Campus fanno ugualmente correre i brividi lungo la schiena. «La prosecuzione dell’inchiesta è già alle richieste di rinvio a giudizio, nelle province romagnole le iniziative di polizia giudiziaria sono numerose e un aspetto che viene poco considerato ma si sta facendo largo è quello della criminalità nigeriana per cui è stato sollecitato più volte il 416 bis» ha rincarato la dose il magistrato, evidenziando poi il cambio di passo delle organizzazioni criminali «Fino agli anni ’90 e all’inizio del nuovo Millennio erano reati spia quali usura, estorsione o danneggiamento i testimoni concreti dell’infiltrazione. Oggi non si ricorre quasi più alla minaccia o alla violenza, ma ci si fa strada con i reati fiscali, societari, le intestazioni fittizie e le bancarotte strumentali all’infiltrazione economica».
Fenomeno radicato
Un tema affrontato già nei saluti d’apertura dal prefetto Alessandra Camporota. «La criminalità organizzata è purtroppo un fenomeno radicato, la presenza dei mafiosi al nord non è una fuga ma risponde a una vera strategia e richiede un’azione d’attacco compatta e condivisa da parte di tutte le istituzioni. Da qui l’idea di organizzare questa giornata di studio in collaborazione con l’Università ribattezzata “La criminalità organizzata come agente di trasformazione sociale” per affrontare la problematica sotto ogni suo aspetto insieme ai principali attori del territorio» ha esordito, dispensando i ringraziamenti di rito alla presenza di diversi prefetti della regione, di quella di Firenze Laura Lega in rappresentanza di Anfaci, dei vertici delle forze dell’ordine e delle associazioni di categoria, del vescovo Monsignor Francesco Lambiasi, del senatore Marco Croatti e di tantissimi sindaci. In prima fila, a fare gli onori di casa, quello di Rimini Andrea Gnassi, che ha a sua volta aperto i lavori in maniera perentoria. «Occorrono parole chiare e precise: la zona grigia nel nostro Paese è un’attitudine, uno status mentale e noi sindaci siamo la frontiera più esposta. Ma la zona grigia non può però diventare un alibi: grazie quindi per questo incontro, perché quando una comunità si mette in gioco tutta insieme come stiamo facendo oggi si compie un bel salto culturale. Sul territorio non ci sono le coppole, ma colletti bianchi e lavatrici invisibili e il nostro cambio di passo è stato affrontarli non negandone l’esistenza per il turismo ma cambiando il modello di sviluppo: passare dall’edilizia contrattata alla pianificazione strategica» ha esordito, per poi incalzare: «Il nostro è un territorio complesso, ma non viene considerato tale sia per quanto riguarda lo sfasamento dei dati sulle presenze reali che per la vicinanza con la Repubblica di San Marino, con cui non ce l’ho come viene spesso ritenuto, ma che deve avviare un processo forte che porti a una nuova frontiera sul credito. Intanto, grazie a protocolli d’intesa ad hoc con la Guardia di Finanza siamo riusciti a segnalare 28 passaggi di proprietà sospetti di alberghi. E’ questa la strada, la sinergia: bisogna avere coraggio e il mio invito a banche, associazioni di categoria e a ogni soggetto coinvolto è mettersi sempre più in gioco per dire tutti insieme che siamo avviati alla trasparenza assoluta per difendere il nostro futuro».
Concetto ripreso e rilanciato dal presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra. «Il successo del sodalizio mafioso è determinato anche dall’ambiente colonizzato e dalla sua miopia perché spesso si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto» ha spiegato, citando l’esempio della Valle d’Aosta («Una relazione del 2017 evidenziava che oltre il 30% dei residenti era di origine calabrese, che la seconda generazione continuava a parlarne il dialetto non accettando idiomi locali e che l’evento più rilevante era la Festa dei Calabresi che durava 10 giorni e registrava 120.000 presenze. Due anni dopo, con la maxi inchiesta del 2019 si scoprì che ragazzi fatti salire dalla Calabria per fare i lavapiatti in hotel ne diventavano subito proprietari pagando cash anche più del valore di mercato e ottenendo plauso e riconoscimento…») e chiosando a sua volta con un appello: «Qui ci sono diversi sindaci e voglio chiedere loro di prestare la massima attenzione al mercato enorme degli appalti pubblici e ai portatori di voti che stanno diffondendosi sempre più».

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