La crisi economica morde. E il caro-bollette erode pesantemente il portafogli di famiglie e partite iva. Se ne stanno accorgendo quei 6.300 cittadini riminesi e 360 imprenditori che, nei primi tre mesi del 2022, sono stati costretti a chiedere forti agevolazioni alla Sgr per poter pagare il gas-metano consumato. Per non incappare in quelle azioni coatte previste per legge. Una situazione grave e straordinaria, dunque, che, come testimonia lo stesso Bruno Tani, amministratore della società riminese, dal 1956 operativa sul mercato dell’energia, «mai si era vista prima». Nemmeno durante il periodo dell’austerity dei primi anni 70. Basti pensare, spiega Tani, che «coi prezzi attuali la spesa annuale è più che doppia rispetto a 2 anni fa».
Tani, abbiamo avuto un inverno lacrime e sangue con cittadini costretti anche a rateizzare il pagamento delle bollette. Quali agevolazioni avete adottato?
RIMINI. Le aziende come la nostra sono l’ultimo pezzo della filiera di approvvigionamento, col problema di riscuotere il pagamento dei clienti finali, per poi riversarlo agli operatori che gestiscono la distribuzione, il trasporto, gli stoccaggi, fino al produttore che, quasi sempre, è estero. E poi al fisco che esige la sua quota sul costo finale del gas. Il governo ha attuato diversi interventi, fra i quali diminuzioni consistenti delle imposte. La nostra azienda ha introdotto due nuove offerte che prevedono modalità di pagamento diluite nell’arco dell’anno anziché concentrate nei soli mesi invernali come ora: una a prezzo fisso ed una a prezzo variabile. Oltre a questo, per i clienti in difficoltà, proponiamo rateizzazioni molto più estese di quelle richieste dalle norme vigenti».
Quanti utenti (famiglie e aziende) hanno usufruito di queste agevolazioni?
«Nel primo trimestre di quest’anno ne hanno usufruito circa 6.300 utenze civili e 360 partite Iva per un importo totale di circa 4.500.000 euro. Nel 2021, l’importo totale del primo trimestre fu di circa 2.000.000 di euro».
Quali le cause di questo aumento delle bollette?
«La causa degli aumenti è imputabile alla diminuzione della disponibilità di gas e quindi di energia elettrica, oltre ad un aumento della domanda. Hanno influito diversi fattori: l’allentamento della pandemia ha generato una ripresa economica che ha fatto impennare la domanda in tutto il mondo; un guasto sul campo di produzione russo del metanodotto Yamal ha causato nell’estate 2021 uno scarso riempimento, per circa il 40%, degli stoccaggi europei. Aggiungerei poi il mancato avvio del nuovo metanodotto Nord stream 2, i problemi nelle miniere di carbone indonesiane e il divieto per la Cina di importazione del carbone australiano. In Sudamerica la stagione particolarmente arida ha provocato una riduzione della produzione idroelettrica e la necessità di importare gas. Quindi i prezzi sono aumentati dai 20 euro/mwh dell’estate 2020 ai 40/50 della primavera/estate 2021, per poi impennarsi oltre i 100 nell’inverno scorso, con picchi fino a 200 euro/mwh. Il 1° aprile, la quotazione era a 117 euro/mwh. Si capisce bene cosa sia stato in grado di generare una simile impennata e non si prevedono grandi ribassi nel corso dell’estate».
Amministratore, aumenti di questo livello in passato ce ne sono stati?
«Mai visti prezzi di questi livelli ed aumenti così repentini. Nemmeno dopo la guerra del Kippur del 1973 e il razionamento dei combustibili e le famose domeniche a piedi».
Ora con la guerra in Ucraina cosa ci aspetta?
«È evidente che dopo quanto accaduto finora, i Paesi importatori di gas cerchino di correre ai ripari cercando fonti alternative per garantire la continuità di disponibilità dell’energia. Difficile prevedere cosa ci aspetta, purtroppo una sola cosa è molto probabile: i prezzi non torneranno ai livelli precedenti. Almeno fino all’estate 2023 non si prevedono diminuzioni dei prezzi».
Il prezzo del gas rischia di schizzare ulteriormente?
«Dipende dalla durata e dagli esiti del conflitto in corso. Potrebbe anche schizzare ulteriormente come già accaduto».
Quanto incide annualmente questo aumento del gas sul bilancio di una famiglia?
«Coi prezzi attuali la spesa annuale è più che doppia rispetto a 2 anni fa, nonostante la notevole diminuzione delle imposte sul gas».
E sulle aziende?
«L’aumento è stato anche più marcato, a seconda dei casi».
Tani, come Sgr avete avuto ripercussioni in tal senso?
«Abbiamo avuto svariate ripercussioni negative quali aumento dei costi finanziari dovuti alla necessità di reperire ingenti somme per pagare il gas ai fornitori prima di avere incassato le bollette, problemi di esazione per difficoltà dei clienti finali, fallimento di alcune controparti con ingenti perdite a nostro carico. Siamo un’azienda solida, la politica prudente del passato ci avvantaggia nelle difficoltà e ci permettere di garantire forniture e servizi».
Quanto incide il gas russo sul vostro approvvigionamento complessivo?
«Sgr non è titolare di contratti di lungo termine con fornitori russi, per cui l'acquisto percentuale di molecola russa sul totale del portafoglio è da ricercarsi nel mix nazionale. Nell'anno 2021 è stato pari al 45%».
C’è chi sostiene che i nostri giacimenti, tipo quelli in Adriatico, hanno una capacità di copertura della richiesta che proviene dal mercato nazionale di un anno, è così?
«Si stimano risorse in Adriatico per circa 90 bcm (miliardi di metri cubi). L'Italia consuma circa 70 bcm/anno per cui teoricamente è vero. L'estrazione di queste riserve richiede però iter autorizzativi ed investimenti che sarebbero chiaramente in controtendenza rispetto alle decisioni prese negli ultimi anni. La produzione nazionale è in forte declino, i giacimenti in corso di sfruttamento si stanno esaurendo. La produzione nazionale che alla fine degli anni ‘90 era di 20 miliardi di mc./anno ora e scesa a 6 miliardi di mc./anno. Non si fanno più investimenti per ricerche da diversi anni».
Può essere un’alternativa il Gas naturale liquefatto?
«Data la disponibilità odierna e le infrastrutture ad oggi attive in Europa, teoricamente sì, ma non nel breve termine e non senza conseguenze. Le forniture di Gnl, diversamente da quelle via tubo, mettono in competizione la domanda di tutto il mondo con inevitabile aggravio di costi per attrarre le navi in un luogo piuttosto che in un altro. Gran parte della capacità di rigassificazione europea (inutilizzata) è nella penisola iberica che però è scarsamente collegata via tubo al resto dell’Europa e dunque fungerebbe da collo di bottiglia. In Italia ci sono 3 terminali che attualmente non lavorano a pieno regime, ma comunque non sarebbero in grado di sostituirsi alle importazioni dalla Russia. La catena logistica del Gnl è molto più costosa del trasporto via tubo».
Tani, Rimini potrebbe diventare porto di attracco per le navi metaniere?
«Lo escludo. Le navi metaniere sono dei colossi che necessitano di aree portuali attrezzate per permetterne l'approdo. Uno dei 3 terminali italiani (Panigaglia) non riesce a sfruttare pienamente la sua capacità di rigassificazione in quanto le navi di grossa taglia non riescono ad approdare per la scarsa profondità del fondale. Anche un semplice deposito di Gnl non è certo pensabile sulle nostre spiagge. La soluzione della nave con rigassificatore al largo è possibile, ma non vedo grandi vantaggi per la popolazione locale».