Rimini, Stefano Vitali dice stop alle missioni: “Ho preso più di 300 aerei in 11 anni, è arrivato il momento di fermarsi”

Rimini

Undici anni di aerei. Di partenze e di ritorni. Undici anni di missioni. Con un unico obiettivo: aiutare bambini, donne, anziani a sopravvivere. A superare fame e abbandono. «Poi arriva il giorno in cui devi smettere. Perché gli anni passano e quei ritmi diventano insostenibili».

Stefano Vitali, già presidente della Provincia, già assessore in due giunte Ravaioli, ora presidente del Valloni e responsabile di una casa famiglia per la comunità Papa Giovanni XXIII, chiude trolley e valigia in cantina e cambia vita. «Dopo 11 anni intensi – scrive in un post su Facebook - si chiude questo periodo della mia esistenza. Più di 300 aerei presi, non so quante centinaia di migliaia di chilometri percorsi. Dove ho incontrato persone meravigliose, che mi hanno aiutato ad avere un punto di vista diverso. Ed è servito più a me che alle persone che ho incontrato, perché ho imparato a mettermi sempre in discussione e sono cresciuto come uomo. Non ringrazierò mai abbastanza chi mi ha permesso di vivere tutto questo. Il mio è stato un viaggio negli occhi dei piccoli che ho incontrato e quegli occhi mi rimarranno per sempre nel cuore».

Esperienze toccanti

Occhi di chi vive una vita da invisibile. Ai margini. In paesi o villaggi sperduti. Dove la miseria regna sovrana e dove per campare devi anche vendere il tuo corpo. «Come quella ragazzina – racconta -, avrà avuto 12 anni, che, nel 2019, incontrai in Brasile, in una piccola città dell’interno, che, truccata di tutto punto, andava, quotidianamente, a prostituirsi. Per portare a casa i soldi per vivere. Chissà che fine avrà fatto!».

E se non ce la fai da sola, allora speri nell’aiuto di qualcuno. «Non dimenticherò mai lo sguardo di quella mamma africana – continua Vitali - che in Zambia, ero in una missione, credo fosse il 2015, mi supplicò di aiutarla a salvare la vita della figlioletta: la gemellina di un anno era morta di fame pochi mesi prima. Era così magra quella creaturina che avevo paura a toccarla per non farle male. La prendemmo in carico noi della missione e riuscimmo a curarla».

Un aiuto per tutti

Serve a questo la comunità Papa Giovanni XXIII, «dove entrai, nel lontano 1989, ad appena 22 anni, per formare una casa famiglia con l’allora mia fidanzata Lolli, ora mia moglie, e dove rimarrò per sempre». Serve ad aiutare il prossimo. Perché quando c’è la vocazione, non c’è sacrificio che tenga. Lo devi fare. «Questi ultimi 11 anni di vita – puntualizza Vitali – li ho trascorsi vivendo per dieci giorni al mese, ogni mese, tra America Latina, Africa e Bangladesh. La Papa Giovanni chiama? Io rispondo presente. Perché c’è sempre tanto da fare nel mondo. Ci sono progetti di natura sanitaria da concretizzare, in Africa, e di carattere educativo da portare a termine, in Bangladesh. Ma ci sono anche da salvare tanti ragazzini e ragazzine dalla strada come in Cile o in Brasile». Poi un giorno capita che bisogna salvare se stessi. Vitali, infatti, fra le tante incredibili esperienze vissute ne ha una che sconfina nel trascendentale. E che risale al 2007, quando, colpito da un terribile tumore maligno, riuscì a guarire dopo tanta preghiera e la vicinanza continua di don Oreste Benzi. Una guarigione così sorprendente da essere considerata dalla stessa Chiesa miracolosa.

«Resto in famiglia»

E, così, dimenticati gli appuntamenti mensili con gli scali di Fiumicino, Malpensa, Marconi, il missionario laico riminese, a 58 anni, decide di riscoprire il “piacere” del focolare domestico. Di quella casa famiglia «che mi ha permesso, grazie all’affidamento, di aiutare 140 bambini, ragazzi, adulti con problemi». «Adesso – precisa - avrò tutto il tempo da dedicare a mia moglie e ai nostri quattro figli (due naturali, due affidatari con problemi di disabilità, ndr). Mi dividerò tra casa e residenza Valloni (la struttura per anziani di cui è presidente, ndr). E chissà, magari uscirà fuori qualche altro progetto da seguire». E l’attività politica? «Quella fa parte del passato. È un capitolo definitivamente chiuso» conclude senza incertezze.

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