Rimini, si laurea in Medicina e raggiunge l’Ucraina: «I miei giorni tra sfollati e campi profughi»

Rimini

Quando si dice il battesimo del fuoco. Neanche il tempo di laurearsi brillantemente in Medicina che Gaia Lo Giudice ha attraversato l’Europa per mettere immediatamente sul campo le sue competenze. Un campo molto particolare, il campo di battaglia ucraino. La 26enne riminese, mentre preparava la tesi poi discussa il 25 ottobre aveva infatti dato la sua disponibilità a Mediterranea per il progetto “MedCare4Ukraine”, la staffetta di team di medici che dal momento dell’invasione russa si susseguono tre volte al mese per portare aiuto alle vittime della barbarie umane. A feriti, sfollati, profughi, persone rimaste senza i propri cari. Mentre i compagni di corso erano probabilmente in viaggio premio o passavano di festeggiamento in festeggiamento subito dopo la laurea, Gaia ha preso una decisione diversa: è stata invece di stanza a Leopoli per 10 giorni in un’esperienza che - confessa - le ha spalancato un mondo e non resterà isolata.

Come è nata questa settimana e mezzo quasi da medico di guerra? Ha un passato nel volontariato?

«E’ stata la mia prima esperienza in questo settore e ho deciso di farla qualche mese fa. Mediterranea si muove molto con il passaparola e appena ne sono venuta a conoscenza da un mio amico di Bologna mi sono iscritta. Era il periodo in cui preparavo la tesi e mi sono lanciata abbastanza tranquilla perché sapevo che con Mediterranea si vivono situazioni piuttosto protette, anche se poi è capitato di dover mettersi in un rifugio...».

Come eravate organizzati?

«Ogni team è composto da 4-5 persone: noi eravamo due medici (l’altro è al terzo anno di Neurologia a Padova e anche lui era alla prima esperienza), un’infermiera, una psicologa e un’attivista e siamo stati a Leopoli da domenica 3 a mercoledì 13 dicembre. Ero la sola riminese del gruppo».

Non si è laureata per fare la medica di guerra?

«In realtà non so ancora bene quale direzione prendere e questa esperienza in un anno di assestamento mi ha anzi aiutata a chiarirmi ancor meglio le idee»

La rifarebbe e la rifarà?

«Probabilmente sì, penso in primavera. Ho già lasciato la mia disponibilità. Sono cose che un po’ ti provano non solo fisicamente ma anche emotivamente e lo si capisce bene gli ultimi giorni, ma proprio per questo è stata un’esperienza molto formativa e arricchente. Non ho visto la guerra con i miei occhi, ma attraverso quelli della gente e adesso che sono qua ho flash continui: mi ha colpito tantissimo ad esempio vedere al confine un’orda di soldati, donne comprese seppur poche. Mi ha fatto impressione. Diciamo che di certo questi 10 giorni mi hanno dato la molla per il volontariato in generale, che non avevo mai fatto così direttamente»

Che situazione ha constatato?

«A Leopoli abbastanza tranquilla, come detto gli effetti si vedono più che altro sulle persone. Ogni giorno abbiamo vissuto esperienze diverse, in campi profughi, al cimitero, in abitazioni private. Abbiamo visto realtà religiose come monasteri o case coloniche che ospitano profughi e vi abbiamo fatto attività assistenziale: oltre che medicine e supporto sanitario, il nostro è stato anche un supporto umano, un sostegno psicologico, e per me è stata una bellissima esperienza anche da questo punto di vista. A Leopoli abbiamo visitato anche una parte del cimitero comune dedicata a tutti i morti in guerra: era domenica ed era pieno di soldati e civili. C’era una marea di persone in visita. Ho parlato con diverse in quei dieci giorni e mi hanno dato l’idea di grande patriottismo, di essere tutte pronte a combattere e difendere la propria terra».

Qualche storia che l’ha toccata particolarmente?

«Siamo stati a casa di tre donne anziane che venivano dalla zona centrale del conflitto e per scappare si sono prese un’abitazione in affitto un po’ in campagna a Leopoli: così riuscivano a stare insieme e aiutarsi economicamente. Attraverso Mediterranea si creano questi network incredibili. Una delle esperienze più forti è stata la visita ai senza tetto, che dopo essersi visti distruggere la casa erano al freddo visto che la temperatura massima era -5 e si arrivava anche oltre i -10. Noi ci muovevamo con un van e spogliare una persona a -5 in un mezzo che ancora non si scaldava non era proprio agevole. Mi hanno toccato le storie di persone anziane che hanno perso i figli in guerra, tanti, e si trovano a vivere in campi profughi senza famiglie o allacci. Ma soprattutto quella di una donna non ancora 50enne con un Parkinson piuttosto invalidante e tre figli piccoli che vive in un monastero e rifiuta la terapia proprio per paura di essere trasferita e allontanata da loro: singhiozzava mentre cercavamo di convincerla a farsi curare».

Come riuscivate a comunicare?

«Non è stato semplicissimo, perché c’era un’interprete sola che, seppur fantastica, doveva stare dietro a tutti noi: era stata in Italia diversi anni ed è tornata per aiutare la sua gente, davvero una persona eccezionale».

Leopoli? Che città ha trovato?

«Incredibile. Un giorno che eravamo un po’ liberi l’ho visitata ed è stato da un lato affascinante scoprirne la grande bellezza e dall’altro un po’ raggelante vedere la faccia di Putin un po’ ovunque: sulla carta igienica (anche in vendita da Tiger), sui sacchetti dei rifiuti, sui tappetini... Mi rattrista un po’ il fatto che a Natale resteranno qualche tempo senza i team, per fortuna Mediterranea fa missioni di rifornimento di farmaci, cibo e beni costantemente».

Si sta preparando per un altro viaggio, quello davvero di laurea, poi come vede il suo 2024?

«A gennaio andrò in Vietnam e quando tornerò si vedrà dove mi porteranno la specializzazione e il lavoro, ma di certo il volontariato continuerà a fare parte della mia vita».

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