Rimini. Renzi (FdI) 40 anni in Consiglio comunale: “E nel 2027 mi ricandido”

Rimini

C’era nel 1985, quando fu eletto per la prima volta in Consiglio comunale tra le file del Msi. C’era a fine millennio quando la svolta di Fiuggi decretò la fine del partito e la nascita di Alleanza nazionale. C’è oggi col simbolo di Fratelli d’Italia. «E mi candiderò anche alle elezioni comunali del 2027». Coerente con le sue idee e ricco di passione politica, Gioenzo Renzi, martedì, è entrato per il suo 40esimo anno consecutivo nella sede dell’Assemblea cittadina. Sempre all’opposizione. Sempre a Destra. Stimato da tutti. Anche dagli avversari di centrosinistra. Che martedì sera, alla presenza della moglie e dei figli, gli hanno riservato, a sorpresa, un piccolo riconoscimento: una pergamena per i suoi primi 40 anni da consigliere: «Grazie Gioenzo – è stato il commento del sindaco Sadegholvaad - per aver vissuto per tanti anni l’impegno di consigliere comunale con energia, dedizione, passione, al servizio della città. La Giunta e il Consiglio Comunale te ne sono riconoscenti». Immediata l’aggiunta della presidente del Consiglio comunale, Giulia Corazzi: «E noi consiglieri vogliamo ringraziarla per la passione, per la lealtà politica, per il suo servizio alla cittadinanza che prosegue da 40 anni e che ci deve ispirare nel nostro impegno quotidiano». E gli inevitabili ringraziamenti del festeggiato: «Mi fa piacere che dopo una lunga vita passata tra i banchi del Consiglio ci sia un riconoscimento che va oltre gli schieramenti. Per questo continuerò a pensare alla città e a dare il mio contributo, in maniera disinteressata, anche se qualcuno, quando ero in convalescenza (dopo una delicata operazione, ndr), – commenta ironico – era lì che si faceva strani pensieri, magari un mio ritiro dalla scena politica. Che non ci sarà perché noi eletti non dobbiamo dimenticarci che abbiamo un impegno che ci è stato affidato dai riminesi: quello di continuare a lavorare per il bene della città».

Una vita dedicata alla politica quella di Renzi. Non da professionista della politica, ma da appassionato di politica. Tant’è vero che il suo lavoro, quello di bancario lo lasciò solo nel 2005 «quando fui eletto in consiglio regionale e mi dimisi, dopo 35 anni di servizio, dall’istituto di credito dove lavoravo, la Banca Popolare di Cesena, ora Banca Popolare dell’Emilia Romagna». Iscritto nel 1970 al Msi, Renzi divenne segretario provinciale nel 1985 «e come prima cosa mi recai a Roma per incontrare Giorgio Almirante perché avevamo bisogno di una nuova sede, dopo aver lasciato la vecchia e troppo costosa “casa” di via Soardi: ricevemmo dal segretario cambiali per 55 milioni di lire per acquistare un immobile in via Bastioni settentrionali». Un ingresso in Consiglio regionale, quello di Renzi, che non passò di certo inosservato. E che in molti ricordano ancora oggi. «Fui il promotore della legge che tagliò 17 consiglieri, portando l’Assemblea emiliano-romagnola dai 57 eletti di allora ai 40 di adesso – spiega –, per un risparmio economico di 7 milioni di euro l’anno in stipendi».

Laureato in Sociologia, il 79enne capogruppo consiliare di Fdi ha frequentato l’Università di Trento dal 1965 al 1970, «ospite del pensionato universitario, dove, tra l’altro, alloggiava anche Renato Curcio, il capo delle Br, che all’epoca, lavorava nella sede del Psi di Trento ed era un leader del gruppo cattolico universitario “Intesa”». Non solo Curcio «che incontravo spesso, visto che alloggiavamo nella stessa struttura ricettiva», Renzi, da giovane studente, conobbe, infatti, anche Mauro Rostagno, poi ucciso dalla Mafia, e Marco Boato: «due leader del movimento studentesco, molto carismatico il primo, tra i fondatori di Lotta Continua e promotori, all’epoca, delle manifestazioni universitarie per il riconoscimento della laurea in Sociologia, alle quali partecipavo anch’io». Primi vagiti di quell’impegno politico che, una volta tornato a Rimini con la “riconosciuta” laurea in Sociologia, lo portò a frequentare gli ambienti della Destra missina. «E ad occuparmi di politica in modo coerente e privo di fini carrieristici – conclude -. Perché una volta l’attività partitica era una vera e propria missione, fatta di gavetta, impegno, e, soprattutto, coerenza: guai a cambiare casacca come si fa oggi. Si lavorava per un ideale. E, a livello locale, per una visione di città e di comunità. Valori, oggi, fortemente sbiaditi».

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