Rimini. Rabbia nei bambini. La psicologa: “Genitori, ecco come gestirla”

Tra tutte le emozioni, quella più complicata da gestire è forse la rabbia, specie se a manifestarla con strilli e capricci sono i bambini. Alzi la mano chi non si è mai sentito spalle al muro. Per uscirne indenni, le parole chiave sono ascolto e autorevolezza, sintonizzandosi sulla stessa frequenza ma dall’alto della cabina di regia. Ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta, Paola Camporesi, 49 anni ad aprile. La dottoressa ha sempre lavorato come consulente del Centro per le famiglie dal 2003.
Dottoressa Camporesi, è corretto bloccare gli scoppi d’ira sul nascere?
«Come tutte le emozioni, la rabbia provoca sintomi anche fisici, a partire dal cuore che batte più in fretta, e solo dopo si manifestano le reazioni. Se insegniamo ai nostri figli a soffocare questo stato d’animo, suggeriamo loro che sia sbagliato. Al contrario bisogna mostrare quale può essere il modo migliore per esprimerlo».
Quale è l’età in cui gli episodi sono all’ordine del giorno?
«Esistono delle fasi, che coincidono con lo sviluppo psicologico dei bambini, e che sono definite periodi di rabbia evolutiva. Si va dai due ai 5 anni con picchi tra i 2 e i 3. Momenti caratterizzati da sfoghi che si manifestano con comportamenti spiazzanti, come gettarsi a terra, lanciare oggetti o trincerarsi dietro il no a priori. In queste finestre temporali, spesso di breve durata, i piccoli cominciano a percepirsi come separati da mamma e papà, non più un tutt’uno. In tal senso la rabbia dice ai genitori “Io sono qualcosa di diverso da te” ed è una spinta per affermare la propria identità».
Perché ai genitori fa tanta paura la rabbia dei figli?
«Ci arrabbiamo soprattutto con chi amiamo più e vorremmo vedere sereno. La rabbia di un figlio, potente e istintiva, finisce spesso per contagiare anche mamma e papà e non riuscire a gestirla fa sentire impotenti e frustrati. In particolare ci imbarazza se le esplosioni avvengono in luoghi pubblici: dal parco al supermercato, ma non bisogna alzare bandiera bianca».
Rabbia e senso di colpa sono collegati?
«Assolutamente sì, quando la rabbia cessa, i genitori temono di aver esagerato o detto parole capaci di ferire. Dal canto suo, il bambino capisce di esseri abbandonato a certi comportamenti e quindi ha paura di aver perso l’affetto dei familiari».
Si rischia di dire cose che non si pensano?
«Si rischia, piuttosto, di esagerare nell’intensità e nei toni».
La pandemia ha inasprito la rabbia nei giovanissimi a suon di vandalismi?
«Il vandalismo nell’adolescenza si intreccia spesso con la trasgressione di gruppo e la responsabilità condivisa ma la pandemia è stata davvero un’enorme cassa di risonanza che ha trasformato paure e incertezze in miccia per la rabbia».
Spesso i litigi scoppiano durante i compiti per casa: un consiglio?
«I compiti diventano spesso un terribile terreno di battaglia dove si innalzano muri e torrette. In caso di attrito bisogna invece accendere i fari sui punti in comune, facendo capire al bambino che se ne comprende frustrazione e fatica. Meglio evitare lo sfinimento mirando ad una miglior organizzazione dei carichi, soprattutto bisogna allentare le tensioni e far appassionare allo studio, anche solo con una passeggiata in mezzo alla Rimini romana».
Il Centro per le famiglie offre un valido aiuto: ci regala un consiglio?
«è fondamentale che i genitori riflettano in primis sulla propria rabbia che a volte è solo il cappello di ulteriori frustrazioni. Ricordiamo che è attraverso l’esempio dei grandi che i bambini imparano a rapportarsi con il mondo emotivo. Urlare invitandoli a non urlare equivale a cercare di spegnere il fuoco gettando benzina».
Quando rivolgersi a uno specialista?
«Bisogna valutare la frequenza e l’intensità degli episodi confrontandosi con tutte le figure che ruotano attorno al bambino: dalla maestra all’allenatore sino al capo scout».
Fra i primi campanelli d’allarme ci sono i maltrattamenti contro gli animali?
«In certe fasi della vita i bambini devono ancora comprendere che il gatto di casa è un altro essere vivente, ecco perché gli tirano la coda. Tuttavia se, crescendo, insorgono comportamenti aggressivi contro gli animali, questo può dimostrare la mancanza di empatia, perciò è bene chiedere aiuto a uno psicoterapeuta».