Rimini. Omicidio della moglie malata. «Dovevo morire con lei»

Rimini

RIMINI. «Dovevo morire anche io con lei». Le sole parole pronunciate da Filippo Maini, il pensionato di 75 anni accusato di omicidio volontario aggravato per avere ucciso la moglie malata di Alzheimer, esprimono il profondo rammarico di esserle sopravvissuto. Non le ha ripetute, però, al giudice per le indagini preliminari Manuel Bianchi né al pubblico ministero Luca Bertuzzi collegati da remoto per l’udienza di convalida fissata per ieri in videoconferenza. Disteso su un letto di ospedale, nel reparto di Psichiatria dell’“Infermi”, l’uomo si è avvalso infatti della facoltà di non rispondere. Una scelta concordata con il proprio difensore, avvocato Alessandro Sarti, che a sua volta aveva interpellato i medici. «Il signor Maini - spiega il legale - non sarebbe stato in grado di sopportare, a così breve distanza dai fatti, lo stress emotivo di un interrogatorio. In questo momento, interesse primario della difesa è quello di salvaguardare le esigenze di salute del mio assistito che, allo stato, si trova in precarie condizioni sia psicologiche sia fisiche». Secondo l’avvocato, neppure le modalità “virtuali” del collegamento avrebbero favorito il chiarimento richiesto. «Non c’erano le condizioni». Il Gip Bianchi, preso atto della volontà di tacere dell’accusato, si è preso un po’ di tempo per sciogliere la riserva e nel pomeriggio ha disposto per l’uomo la misura degli arresti domiciliari. Una volta dimesso dall’ospedale sarà ospite del figlio che aveva dato fin dall’inizio la sua disponibilità ad accogliere in casa il padre.
«Il mio assistito - prosegue l’avvocato Sarti - è fortemente prostrato da quanto accaduto ed è disperato per non essere riuscito a morire con la moglie con cui ha vissuto per 53 anni. Vive un rimorso- rimpianto, i familiari ne hanno compreso il dramma e hanno accettato di stargli vicino». La tragedia risale a lunedì mattina, all’arrivo dei soccorritori la donna - Luisa Bernardini - era morta, lui stordito dai farmaci e con un sacchetto in testa. Se l’è cavata, potrebbe essere questa la sua condanna. Convinto di morire anche lui aveva lasciato tutto scritto.
«Risparmiateci l’autopsia, tutto è molto chiaro, che abbiamo fatto abuso di benzodiazepine (segue la descrizione dei farmaci assunti n.d.r.). Era diventata una vita di inferno, in un momento di lucidità ha deciso, anche lei, di farla finita. Grazie. Questo è un atto d’amore». Il pm Bertuzzi, invece, l’autopsia l’ha disposta ed è saltato fuori che i farmaci non sono bastati: la donna è stata infatti soffocata. Un’incongruenza che il sostituto procuratore avrebbe voluto cercare di chiarire già ieri direttamente con l’uxoricida, prima di ogni altra valutazione sull’interpretazione da dare della tragedia. Per la procura, al momento, non è né aiuto al suicidio, né uccisione di persona consenziente, ma omicidio volontario.

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