Rimini, nel laboratorio che fa nascere i bimbi «Per molti siamo l’ultima spiaggia»

Rimini

In Romagna si diventa mamme due anni più tardi rispetto alla media nazionale. E chi ricorre alla fecondazione assistita, per accelerare il volo della cicogna, non lo rivela ai figli nati in provetta. Sono alcune delle riflessioni emerse dal confronto con la dottoressa, Valeria Polli, responsabile del centro di Procreazione medicalmente assistita dell’Ospedale Cervesi - Asl Romagna. Un centro, quest’ultimo, trasferito a Cattolica dal 2006 dopo la fondazione a Rimini nel 1997 e ad oggi affiancato dal presidio di Lugo presso Ravenna. L’ambulatorio dove lavora la dottoressa è un tripudio di bomboniere rosa-azzurre e pareti tappezzate dalle foto di neonati, minuscoli batuffoli con la cuffietta e i pugni chiusi, per la cui nascita i genitori tornano a ringraziare i medici al momento dei traguardi: dalla prima parola al diploma. Immagini e gesti che, come spiega ancora Polli, regalano «la carica giusta ogni mattina», in particolare lo scatto che ritrae i primi gemellini nati a Rimini con la fecondazione assistita nel lontano 1998.

Dottoressa, quali sono le tecniche più seguite a Cattolica?

«In prevalenza si eseguono tecniche di secondo livello, cioè quelle in cui gli embrioni si ottengono in laboratorio per esser poi trasferiti in utero. Nel dettaglio eseguiamo sia la fecondazione assistita di tipo omologo, ovvero con i gameti appartenenti alla coppia, sia di tipo eterologo, ossia con gameti che, laddove necessario, provengono da donazioni. A prevalere sono i trattamenti di secondo livello di tipo omologo, perché reperire gameti ha un costo che ci limita, anche se la Regione Emilia-Romagna ha messo a terra un programma molto efficace».

Qual è il tempo di attesa per le coppie che vi chiedono aiuto?

«All’incirca un anno».

Per quali cause in Romagna si ricorre alla fecondazione assistita?

«Cause sia femminili che maschili, anche se negli ultimi anni sono in aumento le problematiche riguardanti gli uomini. Nella maggior parte dei casi non riuscire a avere un bambino non è diagnosticabile, il che rende più difficile il rapporto medico-coppia, in quanto quest’ultima resta con il cuore in pena chiedendosi: “Perché è successo proprio a noi?”».

Alcuni legami si spezzano se non arriva un figlio?

«Purtroppo sì. È capitato che si siano lasciati anche durante i trattamenti. Che possono rivelarsi snervanti specie se il problema non viene gestito in due ma nei termini di “mio” o “tuo”. Arrivano da noi, considerandoci l’ultima spiaggia, dopo circa due anni di tentativi per diventare genitori».

Qual è l’età media delle vostre coppie?

«Circa 38,5 anni, quindi lievemente più alta rispetto alla media nazionale che, stando agli ultimi dati del ministero della salute, risulta 36,8. Le donne che hanno un figlio sui 40 anni, le cosiddette primipare attempate, superano ormai il 30%».

Ritardare l’età in cui diventare mamme, per chi lo desidera, può creare problemi?

«Si fatica a spiegare a chi ha cicli mestruali regolari che esistono due tipi di età: quella anagrafica, con cui si può lottare, e quella biologica che non si contrasta in alcun modo. Purtroppo l’ovocita invecchia, aumentano le anomalie genetiche e i rischi anche per il feto, tant’è che la diagnosi prenatale è sempre indicata per chi è avanti negli anni».

La frontiera più innovativa nel vostro centro?

«Cattolica offre tutti i servizi legati alla procreazione assistita. Il centro vanta una struttura che comprende 3 ambulatori dedicati con 2 medici, 4 biologi che operano in 2 laboratori (Embriologia e Seminologia) e 2 infermiere. Si effettuano anche le diagnosi pre impianto sull’embrione, cioè la valutazione di eventuali malattie di cui i genitori possono essere affetti o portatori inconsapevoli. Continue, infine, le evoluzioni sia sulla diagnostica del liquido seminale sia sulle tecniche di crioconservazione di embrioni e gameti. In particolare, il programma che ci sta a cuore è la conservazione della fertilità in pazienti (sia uomini che donne) che devono sottoporsi a terapie antitumorali o che hanno malattie che potrebbero compromettere la fertilità. Una volta guariti potranno iniziare, quando vorranno, il percorso di fecondazione assistita usando i propri gameti conservati nel freddo».

A questi bambini, una volta cresciuti, viene rivelata la nascita in provetta?

«Nella maggior parte dei casi no, con ogni probabilità per evitare commenti spiacevoli o bullismo nei confronti dei figli».

Cosa consiglia a chi vuol diventare genitore?

«Una buona condotta di vita. Senza dimenticare che la fertilità è un problema di coppia e non personale. E come tale va gestito. Un fattore sottovalutato? Il peso eccessivo per una donna che si rivela dannoso anche per l’evoluzione della gravidanza. Per questo è bene indagare le malattie metaboliche che sono spesso alla base dell’obesità. Non a caso il nostro è un lavoro condotto in team con endocrinologi, psicologi e nutrizionisti».

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