Rimini, il medico in trincea: "Se aumentano i contagi l'ospedale non regge"

RIMINI. Parla di medicina delle catastrofi, di protocolli che contengono i criteri di estubazione: pazienti ai quali sarà tolta la respirazione assistita per darla ad altri con più probabilità di vita. Non più assistenza dell’individuo ma sopravvivenza della specie. Chiariamo subito: non si tratta di allarmismo, ma di realtà. Lo spiega chiaramente chi vive in trincea da giorni, chi ci cura, ci aiuta a sopravvivere, chi mette a rischio la sua stessa vita per noi. E’ un medico del Dipartimento Emergenza e Urgenza dell’ospedale Infermi, uno di quei medici tutti “bardati” che vediamo ogni giorno in televisione, esattamente come quelli nei film che combattono le epidemie e alla fine vincono sempre. Ma solo se tutti faranno la loro parte vinceremo anche noi, è questo il messaggio che il medico vuole lanciare, un appello da chi sa cosa sta accadendo realmente in ospedale: se continuiamo ad ammalarci non ci saranno più letti per essere curati, non ci saranno più medici né infermieri, ammalati anche loro.
Dottoressa ci spieghi com’è la situazione in ospedale.
«Sono molto preoccupata. Qui a Rimini siamo abituati a gestire altissimi numeri di emergenze ma una cosa così non ci era mai capitata e quindi siamo totalmente impreparati. Se l’epidemia non cresce ce la faremo ma se la situazione esplode no».
Troppo lavoro, turni massacranti?
«Non dico questo, non ci spaventiamo dalla mole di lavoro. Dico che se la gente continua a comportarsi come se niente fosse, come se il virus non esistesse, con comportamenti irresponsabili, se il contagio continua con questi numeri l’ospedale potrebbe non avere più posti per tutti i malati. E ricordiamo che in ospedale non ci sono solo i malati da Covid-19. C’è un piano di chiusura delle sale operatorie per aumentare la disponibilità di ventilatori per la Rianimazione ma è un cuscino all’emergenza. L’ospedale e soprattutto i reparti per questa emergenza hanno una capienza, se termina non si possono più ricoverare persone. Ripeto: perché chi adesso sta bene non pensa che potrà ammalarsi e avere bisogno di cure ospedaliere, ma ne avrà bisogno basta vedere come crescono i contagi».
Ma il pronto soccorso è attrezzato per evitare contatti con pazienti potenzialmente contagiati…
«Noi ce la stiamo mettendo tutta, ma quello che è stato fatto è frutto della nostra “invenzione”, purtroppo qui manca totalmente una gestione dall’alto, noi che siamo in prima linea sentiamo il senso d’abbandono, non ci sentiamo tutelati da chi deve fornire le direttive. Quindi ecco che è stata creata un’area pre triage dividendo la sala d’attesa del pronto soccorso. E mi spiego: teloni di nylon attaccati al soffitto. E questo perchè il nostro reparto è ottimamente diretto. E ci siamo organizzati da soli. Ma non basta. Doveva essere attrezzata una tensostruttura esterna ma non è stato fatto».
Faccia qualche esempio per capire perché non basta.
«Dunque se in pronto soccorso arrivano 8, 10, 12 pazienti prima di indirizzarli nel percorso “sporco”, come chiamiamo noi per potenziali contagi da Covid-10, o “pulito”, senza contagio, dobbiamo garantire la distanza di sicurezza di almeno un metro tra loro. Non è facile. Ci vorrebbe uno spazio più ampio. Ma continuo con l’esempio. Arriva un paziente con trauma cranico da incidente, magari incosciente, non è in grado di dirci se ha avuto febbre ecc… quindi si ipotizza non abbia coronavirus. Viene preso in carico come paziente normale. E si avvia nel percorso “pulito”. Dopo qualche ora sviluppa la febbre e allora si sospetta contagio e si fa il tampone. E i medici e gli infermieri che lo hanno preso in carico come paziente non contagiato? Via a fare il tampone a tutti e ad attendere il risultato. E se risultasse positivo, il personale deve andare a casa. Ed è successo, ci sono medici e infermieri in quarantena».
Ma come fate ad appurare i contagi in presenza di sintomi già in pronto soccorso?
«Facciamo lastre al torace, non in reparto ovviamente per evitare contaminazioni, ma con uno strumento mobile. E anche qui: facciamo i raggi in un’area non protetta, ci esponiamo ogni giorno al rischio…. una situazione assurda. Tralascio le nostre difficoltà ad agire completamente isolati con i dispositivi di sicurezza: non possiamo soffiarci il naso, non possiamo bere… quando andiamo in bagno dobbiamo spogliarci tutti e rivestirci con tute pulite. E anche qui: per ora i presidi medici ci sono ma sono contati, non siamo tranquilli neanche da questo punto di vista».
Ma possibile che non esista una organizzazione di lavoro che eviti tutto questo?

«No, non ci sono direttive chiare, è tutto in divenire, tutta una improvvisazione, tutta buona volontà dei medici, in una situazione che ribadisco è eccezionale ma che per questo richiede misure eccezionali diramate dalla direzione sanitaria. Sia chiaro, il personale sta facendo tutto e di più, doppi turni, niente riposi, riusciamo ancora a farcela, ma è umano avere paura. Anche noi abbiamo famiglie, figli a casa, ci sono colleghi che in attesa del tampone dopo un rischio contagio hanno dormito in albergo per non infettare i propri cari. E quando ci ammaleremo tutti come si farà?».
Lo chiedo io a lei, mi dia una soluzione
«Ora, in questo momento, i posti per tutti gli ammalati ci sono, noi medici ce la facciamo con grandi sacrifici ma ce la facciamo. Ma quando saranno esauriti i posti creati anche al quinto piano dell’ospedale? Dovremo creare altre aree divise da teloni di plastica? Non basta. Secondo me dovremmo avere un ospedale tutto Covid-19 e mandare pazienti “normali” negli altri ospedali, ma non stanno a me queste decisioni. Io voglio fare capire alle persone fuori che sono i loro comportamenti sbagliati che possono mettere a rischio il sistema sanitario. Lo dico senza vergogna: noi sputiamo sangue per contenere l’epidemia e quando esco di qui e corro a fare la spesa vedo gente che fa l’aperitivo in un bar accalcato, vedo gente che fa shopping in negozi pieni… basta, bisogna stare a casa, in questo momento non si deve uscire, non ci si deve esporre al contagio non so più come dirlo. Domani una di quelle persone potrebbe avere bisogno di Terapia intensiva e non esserci più posti letto. E qualcuno potrebbe dovere scegliere chi tenere allacciato al respiratore e a chi toglierlo, in base alle probabilità di vita. Non dobbiamo arrivare a questo».

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