Rimini. Massimiliano Alvisi: “Così ho rilanciato l’Embassy, maxi eventi personalizzati: la villa è di tutti”



«Puntare su 18esimi dai prezzi democratici in una cornice senza tempo». Questa la politica messa in campo dall’imprenditore riminese Massimiliano Alvisi, il 47enne che nel 2014 ha preso in mano le redini dell’Embassy, locale culto degli anni Cinquanta e Sessanta, che ha ospitato leggende come Mina, Fred Buscaglione e Mike Bongiorno. Il ristorante decollò nel 1968 e questo fu anche il primo locale di Marina centro a restare aperto tutto l’anno accogliendo ospiti come l’avvocato Gianni Agnelli e il regista Federico Fellini.
Una scelta, quella di Alvisi, che fa leva su un percorso che lo vede attivo anche nel settore dell’abbigliamento, fra Riccione e San Marino, e fra i soci del ristorante La mi mama di via Poletti.
Dopo il concerto dell’RDS summer Festival la sua villa, che resta una delle più fulgide testimonianze del Liberty italiano, ha ospitato ieri l’atteso aftershow.
Alvisi, quali sono gli ingredienti per tenere aperto un locale dieci anni, pandemia inclusa?
«La villa ha qualcosa di magico, unico e non replicabile: è questo il valore aggiunto al mio progetto ma a fare la differenza è uno staff con 24 persone di estrema competenza, dai 18 ai 50 anni, come lo chef Alessandro, il barman Gian Giacomo, detto Jj e la direttrice Milena. Non sono mancati investimenti importanti, è vero, ma ho il privilegio di gestire una villa del 1870 che vanta un servizio di ristorazione a chilometro zero. In tempo di bilanci, dedico infine un pensiero anche alla compianta Maura Sambuchi che ci ha lasciato l’anno scorso a 53 anni. Al timone dal 2018 al 2019 ha tracciato una rotta determinante rendendo il locale uno spazio polifunzionale».
Cosa ha cambiato a livello strategico?
«Ho puntato sull’organizzazione di eventi a cui la villa si presta bene per dimensioni e logistica, potendo ospitare fino a 500 persone in piedi e 200 sedute. Ecco perché siamo diventati un punto di riferimento per i diciottesimi con pacchetti personalizzati e prezzi molto competitivi. Se devo cercare un difetto all’Embassy, invece, riconosco che la sua bellezza d’altri tempi può spaventare tant’è che molti riminesi non ne hanno mai varcato la soglia ma la nostra è la villa di un’intera comunità. In passato contendeva lo scettro a La bussola della Versilia, come luogo di tendenza e riscoprirne la storia è un’avventura imperdibile».
Chiringuito: è una concorrenza che pesa?
«Mi schiero dalla parte di chiunque abbia voglia, possibilità e ambizione di aprire un’attività, poco importa dove. Non vedo i chiringuito come competitor, perché offriamo prodotti troppo diversi. Detto questo, qualunque attività va regolamentate con regole semplici e comuni».
Sta rinascendo il culto dei locali notturni o gli anni ruggenti sono un capitolo chiuso?
«Il nostro territorio offre più valvole di sfogo a livello turistico e culturale e il marketing va in questa direzione ma se vogliamo far tornare la Riviera un luogo iconico per le nuove generazioni bisogna supportare lo sforzo. Un tema importante è quello dell’inquinamento musicale, perché anche se spegniamo la musica a mezzanotte, come da regolamento, c’è sempre qualcuno che si lamenta».
Il riminese medio deve cambiare mentalità?
«Proprio così, rammentando che la musica si piazza al primo posto, seguita dal cibo e dall’intrattenimento che va a braccetto con sport e cultura».
Il turismo di qualità può aiutare i locali?
«Sì, se è inteso a 360 gradi: dalle spiagge alle strutture passando per i servizi. Prendiamo l’abbigliamento, sono più le insegne che si spengono delle saracinesche ancora aperte e i tagli del nastro riguardano soprattutto i bazar. Morale? Se voglio attrarre una clientela garbata ma il primo negozio a cui indirizzarli si trova a Milano Marittima, ho già perso la mia partita. Ricordiamocelo».