Rimini, la vittoria di Erika: «Io, una vigile del fuoco tra 217 uomini ho superato la diffidenza dei colleghi»

Rimini

«Ho dovuto attendere dieci lunghi anni prima di essere assunta. Ma alla fine ci sono riuscita. E adesso faccio quel lavoro che ho sempre voluto fare e che non cambierei per nessun altro al mondo». La vigile del fuoco Erika Rossi è la collega Tania Ruggieri sono le uniche donne, tra 217 uomini, operative al comando di Rimini. In una professione, considerata tra le più difficili e pericolose, da sempre riservata ai maschi: «Ma vedrete che la cosiddetta “quota rosa”, a breve, crescerà di numero», puntualizza Rossi.

Rossi, lei e Ruggieri siete le uniche donne in servizio presso la caserma dei Vigili del fuoco di Rimini: che significa questo?

«Sì, siamo le uniche donne in servizio a Rimini, ma ancora per poco aggiungerei. Perché la “quota rosa”, a breve, crescerà, ed io non vedo l’ora! A proposito, lo sa che il fuoco non riconosce se davanti ha una donna o un uomo? (ride, ndr). Scherzi a parte, ho una collega fantastica e ci incoraggiamo a vicenda. Ma ho anche tanti bravi colleghi al mio fianco».

Da quanto tempo è pompiere?

«L’assunzione effettiva è arrivata nel 2018, dopo dieci lunghi anni di attesa per una graduatoria nazionale che era rimasta bloccata per diverso tempo e un corso di formazione alle scuole Centrali di Roma. È stato un percorso lungo, nell’attesa mi tenevo impegnata in lavori che capitavano, ma alla fine la pazienza e la tenacia sono state ripagate. E se sono arrivata fino a qui è perché in passato ho avuto la fortuna di conoscere una bella persona, al momento giusto, che, parlandomi di questo lavoro, non ha fatto tanta fatica a convincermi che poteva essere la mia vocazione».

Perché ha scelto di diventare una vigile del fuoco?

«Perché è un lavoro che rispecchia in pieno il mio carattere: dinamico, concreto, umano. Ho sempre avuto il desiderio di aiutare il prossimo, di rendermi utile nei momenti di difficoltà. Per me non è solo un lavoro: è una scelta di vita».

In una professione prettamente al maschile, una donna che difficoltà incontra?

«Le difficoltà non sono tanto legate al genere, ma fanno parte della vita in generale, non parlerei di maschilismo, questo è una parola legata al passato. Quando ti metti in gioco e dimostri volontà, gli atteggiamenti cambiano. Fiducia e rispetto sono cose che vanno costruite con il tempo, e vale per tutti».

C’è maschilismo in caserma?

«Più che maschilismo, definirei, ma solo per alcuni, una sorta di diffidenza iniziale. A volte è capitata qualche battuta “scomoda”, ma io sorrido, e finisce tutto lì. Se ti fai conoscere e mostri di avere competenza e spirito di squadra sei ben accetta in questo ambiente: e vale per tutti. Perché alla fine siamo lì per lo stesso obiettivo».

Ci sono stati dei momenti in cui ha pensato di cambiare lavoro?

«Come in tutti i mestieri ci sono momenti di difficoltà o di fatica, ma non ho mai pensato seriamente di cambiare. La passione per questo lavoro ha sempre avuto la meglio. E nei momenti di difficoltà quando torni a casa e hai le persone giuste intorno a te, diventa tutto più semplice».

Ha mai avuto paura mai in servizio?

«La paura fa parte del nostro mestiere, ma bisogna saperla gestire. Abbiamo una formazione pensata per agire in sicurezza: proteggiamo noi stessi, per poter aiutare gli altri. Gli interventi più rischiosi si affrontano con tecnica e con il sostegno della squadra. A volte è proprio il collega vicino a fare la differenza nel momento critico, basta percepire la sua presenza, per sentirti al sicuro».

Qual è stato l’intervento più difficile e che non riuscirà mai a dimenticare?

«Mi ritengo fortunata perché, finora, non ho vissuto un intervento che mi abbia segnato in modo indelebile. Sono sempre riuscita a gestire e rielaborare tutto, in più sono credente e anche questo è un valido aiuto. Ma so bene che fa parte del mestiere, purtroppo questo è uno degli aspetti negativi del nostro lavoro».

Ci racconti una sua giornata tipo in servizio.

«La giornata inizia alle 8 con il cambio turno e il passaggio delle consegne. Tutti riuniti in una sala, il capoturno assegna i ruoli della giornata, il lavoro di competenza, gestisce discrepanze e ci informa sulle novità degli interventi; si controllano i mezzi e l’equipaggiamento; si svolgono uno o due momenti di addestramento o aggiornamenti e nel divenire si gestiscono gli interventi. A fine giornata, se necessario, si fa un debriefing per analizzare situazioni particolari. C’è anche spazio per l’allenamento o per due chiacchiere tra colleghi, ma sempre pronti a scattare al suono della sirena. Alle 20 si passa il testimone al turno successivo. A meno che non arrivi all’ultimo minuto un intervento che non può permetterti di tornare a casa al giusto orario, ma fa parte del lavoro».

Il vostro sindacato lamenta una forte carenza d’organico: ce la fate a coprire tutti gli interventi?

«La carenza d’organico è una spiacevole realtà. Grazie ai miracoli e sacrifici dei nostri capiturno per formare servizi adeguati, noi del personale operativo e gli amministrativi riusciamo comunque a sopperire a queste gravi carenze e assicurare sempre un servizio efficiente e sicuro. Ma questa situazione non deve peggiorare ulteriormente, perché il problema della carenza di personale è concreto e va affrontato seriamente: ne va della sicurezza di chi lavora ».

Riesce a coniugare lavoro e vita privata?

«Sì, io e il mio compagno conviviamo con tre gatti e un cane e spero che presto la famiglia si allargherà! Basta un po’ di organizzazione, aiuto reciproco, io ho comunque del tempo libero dal lavoro e dove non arrivo io, arriva lui. Insomma, diciamo che vivo il lavoro con serenità».

Rossi, se non avesse fatto il vigile del fuoco che altro lavoro avrebbe fatto?

«Avrei comunque optato per un lavoro rivolto al prossimo, agli animali o all’ambiente. Non sono mai stata egoista e sono sempre dalla parte dei più deboli. Mi sarebbe bastato sentirmi utile a qualcuno o a qualcosa. Un lavoro che avesse un senso per la collettività. Un lavoro come quello del vigile del fuoco».

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