Rimini, Jacopo Ticchi: “Pesce frollato, così ho vinto la scommessa ma non sono un semplice “creatore” di piatti”

Da Cattolica all’Australia, da Milano ad Ibiza. E per concludere Rimini: l’ultima – ma più importante - tappa del percorso professionale (e personale) dello chef Jacopo Ticchi. E dalla quale il ristoratore afferma di non volersi allontanare: «Qui ho trovato la mia dimensione».

Titolare della Trattoria Da Lucio, ristorante inserito nella guida Michelin, il classe 1994 inizia la sua carriera in Riviera a 16 anni, facendosi le ossa durante le stagioni estive. A distanza di oltre un decennio, il suo nome compare tra gli Under 30 della classifica di Forbes Italia, nella categoria “Food & drink” (2023), ovvero il meglio dell’imprenditoria giovanile. Un riconoscimento che l’inventore del pesce “frollato” ha accolto con entusiasmo. Ed anche con una punta di orgoglio: «Sono partito dal basso, perfezionandomi di esperienza in esperienza. Oggi posso ritenermi soddisfatto. Anche se è solo l’inizio».

Ticchi, a proposito del riconoscimento di Forbes: che effetto le ha suscitato?

«È stato un onore riceverlo. Ho sempre visto questo mestiere come qualcosa che andava oltre il servizio di sala e cucina. Non mi ritengo un semplice “creatore” di piatti. Nella classifica vengo equiparato a degli imprenditori. Questo mi lusinga, rafforzando la mia convinzione che, attraverso il mio lavoro, io possa arrivare ad influire in quello che è il panorama della vita in generale».

E la passione per la cucina, come è nata?

«I primi anni di vita sono stati cruciali. Una parte della mia infanzia è legata alla campagna, alle attività dei miei nonni paterni, contadini. Ho sperimentato i ritmi e le tempistiche della campagna. Un bagaglio che poi mi sono ritrovato più avanti».

Ha lavorato per molti anni all’estero, finendo per approdare al Joia (1 stella Michelin) di Milano. Quanta “Riviera” si è portato dietro?

«Direi tantissima. Le stagioni qui in Romagna, così come l’alberghiero frequentato, mi hanno dato delle basi solide. Ho capito come si imposta un lavoro intenso e strutturato, di “quantità”. Mi ha dato una visione di ospitalità a 360 gradi. All’estero, invece, mi sono perfezionato».

Come mai la scelta, quando è diventato imprenditore nel 2019, di scommettere su Rimini?

«Sono nato e cresciuto a Cattolica. A Rimini, nell’epoca in cui vivevo a Milano, tornavo per delle collaborazioni. Dopo qualche anno lontano da casa ho compreso il vero valore della Romagna. Ho iniziato ad apprezzarne l’ospitalità, il contatto diretto con i clienti. Non erano più turisti, ma persone alle quali facevo da mangiare e che, poi, salutavo per strada. Rimini ha tutte quelle cose che si trovano in una grande città, ma con dinamiche più familiari. Me ne sono innamorato».

Si aspettava l’accoglienza che ha avuto?

«In realtà ho sempre creduto nel mio progetto. Penso che, in una città come Rimini, si possa fare tutto. Investire, creare, proporre. Specie a livello ristorativo, dove servivano mezzi nuovi per arrivare alle persone. Il mio pensiero sul pesce sconvolgeva tutto ciò che era stato raccontato fino a quel momento. Proporre la frollatura in contrapposizione al fresco era una scommessa. E, a quattro anni dall’apertura, posso dire di averla vinta».

Cosa mancava, in termini di ristorazione, nel Riminese? E cosa sente di aver apportato?

«Mancava il coraggio di uscire da quel turismo di massa che da sempre contraddistingue la Riviera. Mancava la spinta a svecchiare certi servizi e a far diventare il settore gastronomico più d’avanguardia. Io sento di aver fatto la mia parte. Credo che, grazie anche al mio progetto, Rimini stia diventando sempre più internazionale».

Tra vent’anni, dove si vede?

«Qui a Rimini. Questa città è come una grande metropoli che procede ad un ritmo più lento. Quel che ho capito, viaggiando, è che voglio portare il mio mondo e i miei viaggi a Rimini. E non il contrario».

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