Rimini, invalido avvelenato con il topicida: caccia al mancato omicida

RIMINI. La certezza: il topicida che l’ha quasi ucciso per dissanguamento, non può averlo ingerito di sua volontà. È infatti bloccato, o meglio, immobilizzato da tempo in un letto, incapace di qualsiasi azione autonoma, compreso muovere le dita di una mano. Ai suoi bisogni ci pensano badanti e la donna con cui convive da una trentina di anni. Ecco perché assume i contorni del giallo alla Agatha Christie, il mistero su cui da mesi indagano la sezione di Polizia giudiziaria dei carabinieri della procura della Repubblica di Rimini e il pubblico ministero Luca Bertuzzi. Tentato omicidio, si legge nell’intestazione della cartellina rossa sul tavolo del magistrato; manca però il nome del presunto colpevole.
Giallo nel giallo
Tutto inizia nell’estate del 2018, quando l’uomo oggi ultra 80enne arriva in ambulanza in ospedale. Le sue condizioni sono disperate a causa di una emorragia digestiva causata dal sangue, di fatto, diventato acqua. I medici chiedono subito se assume il Coumadin, farmaco anticoagulante per antonomasia. Alla risposta negativa della compagna, la direzione sanitaria segnala il caso alle autorità competenti. Una scoagulazione così forte la può dare solo l’ingestione in dose massiccia di un topicida.
L’indagine
Il passo successivo lo fanno i carabinieri, che su ordine del pubblico ministero, provvedono a perquisire la casa e le pertinenze dove vive l’anziana coppia. In un capanno viene trovata una scatola, piena di capsule di quel particolare veleno. Un passo importante che però non si rileva decisivo per chiudere il cerchio, anche se il consulente tecnico dell’accusa, sottolinea come per ridurre il pensionato in quelle condizioni, occorra un dosaggio massiccio di veleno. Escludendo, di fatto, la somministrazione per errore o superficialità: qualcuno ha trattato il topicida e poi si è lavato male le mani. L’indagine prosegue ed il puzzle si arricchisce di un altro tassello. Si scopre che la compagna del pensionato ha alle spalle due matrimoni con altrettanti figli: un maschio e una femmina; e che l’uomo vive, senza pagare l’affitto, in una casa di proprietà del “patrigno”. Pigione che diverso tempo prima della stesura del “giallo”, gli viene richiesta dall’avvocato amministratore di sostegno della vittima. Che respinge la richiesta al mittente, asserendo di avere una scrittura privata in cui viene autorizzato dalla proprietà a vivere lì, senza sborsare soldi. Anzi, gli euro, li ha spesi lui per eseguire lavori di ristrutturazione. Inevitabilmente il confronto era finito davanti al tribunale civile, che oltre a disporre la restituzione delle chiavi, aveva disposto la messa in vendita. Non c’è invece nessuna contestazione su a chi andrà la casa dove la coppia vive: alla morte del pensionato ne godrà l’usufrutto, vita natural durante, la compagna. Almeno per ora.

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