Rimini. In vendita 59 alberghi per 47 milioni
«Segno di un’economia che non funziona»

«Ho fatto una ricerca su uno dei siti immobiliari che vanno per la maggiore e, con stupore, ho contato 59 hotel in vendita a Rimini. E se un decimo delle attività alberghiere è in cerca di un nuovo proprietario significa che siamo davanti ad un’economia che non funziona». Fabio Lisi, socio della Car-Tech, società riminese attiva nel campo delle banche dati per fini tributari, e proprietario di una “pensioncina” di famiglia data in gestione, lancia un segnale preoccupante. Che dovrebbe far riflettere operatori turistici e classe imprenditoriale tutta. «Esaminando i prezzi di vendita per ogni annuncio, possiamo parlare, considerando una cifra media di 800mila euro a struttura, di quasi 50 milioni, 47 milioni per la precisione, di valore svalutato sul mercato e che potrebbe passare di mano».
E’ il segnale della crisi di cui tanto si parla? «E’ il risultato di una miopia tutta riminese - interviene Mauro Santinato, imprenditore del turismo e fondatore di Teamwork, società di consulenza alberghiera - che ha spinto gli operatori a congelare gli investimenti al secolo scorso, quando di città balneari c’era solo Rimini e poco altro».
Cosa fare allora? Come reagire ad un comparto che anno dopo anno si lascia dietro decine e decine di strutture chiuse? «Intanto - sottolinea Lisi - il Comune dovrebbe varare al più presto il nuovo Piano urbanistico generale, il Pug, perché le norme che ci sono adesso non favoriscono assolutamente gli investimenti. Lo avrebbe dovuto fare al 31 dicembre del 2023... Quindi, una volta conosciuta la nuova pianificazione si potrebbe, ma questa è una mia idea, dar vita a società di fondi comuni d’investimento a cui affidare l’acquisizione degli alberghi dismessi che, una volta riqualificati, rimodernati e accorpati, per un totale di 60-70 camere, potrebbero puntare su quella clientela di qualità che da un po’ di anni ci sta mancando».
Ma è evidente che per portare a termine un’operazione così ambiziosa occorrono capitali. Spiega allora Lisi: «I fondi comuni d’investimento dovrebbero coinvolgere, in primis, gli albergatori. Magari la nuova generazione di albergatori. Per attività che andrebbero dal grande complessi alberghiero, nati dall’accorpamento di piccole strutture acquisite, all’albergo diffuso in caso di impossibilità all’accorpamento, fino alle attività a servizio del turismo, utilizzabili, però, anche dai residenti, come parcheggi, piscine, spa, cucine condivise». Rilancia Santinato: «Non possiamo pensare che il Parco del mare o la nuova piazza Malatesta possano, da soli, calamitare i turisti. Dobbiamo rendere le nostre attività, alberghi, ma anche ristoranti, negozi, bagni, più attrattive. Altrimenti scordiamoci gli investimenti stranieri. In un recente convegno, il responsabile degli investimenti di Unicredit mi ha detto che capitali esteri sono pronti ad arrivare in Italia, ma che le mète preferite sono il lago di Como, Venezia, Roma, Milano. E che Rimini e la Riviera non figurano proprio in questa mappa».
Conclude, però, Antonio Carasso, presidente di Promozione alberghiera: «Per tornare alla messa in vendita di quei 59 hotel penso che sia una cosa naturale, che rientri in una normale rotazione. Per quanto riguarda invece l’aspetto dei dati turistici di settembre, abbiamo avuto, causa maltempo, una cancellazione di prenotazioni del 10% per questa settimana e la prossima. Con un riempimento camere, comunque, del 59% per l’intero mese». «Va però detto - chiosa Santinato - che almeno il 75% degli hotel stagionali ha già chiuso i battenti».