Rimini, Giulia Piccari fotografa delle star a New York: “Così ho realizzato i miei sogni”

A New York è diventata un’affermata fotografa immortalando star come Cindy Lauper, Rihanna e Gloria Estefan, ed ora continua a coltivare progetti all’insegna della bellezza e dell’inclusione. Parliamo di Giulia Piccari, 47enne riminese.
Piccari, come è iniziato il suo interesse per la fotografia?
«È stato il mio primo, grande amore. Dopo la laurea in fotografia al Westminster College di Londra, conseguita nel 2000, ho deciso di specializzarmi all’Istituto di fotografia a Roma. La svolta è arrivata tre anni dopo, quando ho vinto un premio fotografico: a capo della giuria c’era il regista, Giuseppe Tornatore. È seguito un lavoro alla Rai della durata un anno, nella trasmissione “l’Italia dei porti”, che mi ha permesso di viaggiare in barca lungo la Penisola e a chiusura la mostra On my way, un viaggio coast to coast tradotto in immagini».
Quando è arrivata negli Stati Uniti?
«Era il 2006 quando sono andata a lavorare a Disney World, in Florida, dove ho conosciuto il ragazzo veneto che poi sarebbe diventato mio marito. L’anno seguente sono volata a New York dove ho scattato foto per The New York Times, oltre che riviste di moda e gossip, sempre in prima fila a sfilate, feste all’ambasciata italiana e party di celebrità. Finire sul red carpet, con la macchina fotografica al collo, fotografando i divi che ammiravo nei film, mi sembrava surreale. Senza dimenticare la collaborazione al Tribeca Film Festival e quella con Fabio Volo, sul set di “Un giorno in più”. Sette anni dopo mi sono trasferita a Naples in Florida dove vivo tuttora con mio marito e le nostre due bellissime bambine di 10 e 5 anni, Nicole e Isabel. Oggi abbiamo la cittadinanza americana e una casa tutta nostra».
Perché ha lasciato la Grande Mela?
«Avevo raggiunto tutti i miei obiettivi ed ero ancora in tempo per iniziare un altro capitolo della mia vita. Desideravo infatti una famiglia. Come ho scritto nel mio E-book, “Nyc: The real Life”, scegliere Manhattan significa vivere sotto pressione continua, in appartamenti microscopici, con zero tempo libero per gli amici. L’esatto contrario della serie tv cult “Sex and the city”».
Qualche lato negativo del vivere all’estero?
«Nel 2018, per sfuggire a un uragano, siamo finiti in Alabama dopo 18 ore trascorse al volante, il doppio del tempo necessario in una giornata normale. Ovunque gli hotel erano strapieni e pregavamo perché non finisse la benzina. La crisi climatica, purtroppo, ha inasprito una situazione già al limite».
Lei è cresciuta in via Gambalunga, cosa offre in più alle sue figlie l’America e cosa toglie rispetto a un’infanzia in Romagna?
«Le mie bambine possono contare su un curriculum scolastico molto più ampio, ma anche praticare uno sport a altissimi livelli senza trascurare la preparazione culturale. D’altro canto, però, gli americani non ti guardano negli occhi neanche quando ti parlano, sono assorbiti dalla carriera e la competizione è esasperata. Devi avere successo e fare soldi. In cima alla lista c’è anche il culto dell’apparenza, tra filler e botox a go go».
Di cosa si occupa oggi?
«Collaboro con una galleria d’arte e con Us Pickleball. Ad aprire nuovi orizzonti è stata anche la rivista “Uniquely you” che si occupa di disabilità e inclusione, contribuendo a raccolte fondi da milioni di dollari. Sono la fotografa di una scuola, insegno ai ragazzi e lavoro a numerosi progetti, ad esempio il libro in bianco e nero “The best part of me” che in un’epoca di modelli estetici inarrivabili invita i giovanissimi a apprezzarsi così come sono».
Tornerebbe mai in Romagna?
«Perché no? È una terra magnifica, vista mare. Negli Stati Uniti vanno tutti di fretta, hanno dimenticato cos’è un abbraccio e il business equivale alla stella polare. Al contrario noi romagnoli sappiamo ancora goderci l’attimo fuggente».