Con l’arrivo dei primi freddi, Rimini si prepara ad un’emergenza che ogni anno ritorna, puntuale come le mareggiate: le persone senza dimora. Per chi vive in strada, l’inverno è una stagione lunga, fatta di notti gelide e solitudini, dove anche un pasto caldo o una coperta diventano una questione di sopravvivenza. «Da novembre 2024 a giugno 2025 abbiamo censito poco meno di trecento persone senza casa», spiega Livio Liguori, volontario della Capanna di Betlemme, una delle realtà impegnate nella rete cittadina di assistenza. «Numeri in aumento ma il nostro sguardo è solo una parte del quadro. Molti restano invisibili, soprattutto chi si tiene lontano dai servizi o si sposta di continuo».
Potenziare il fine settimana
A Rimini l’aiuto arriva da una rete capillare: Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas, Croce Rossa, Rumori Sinistri e la stessa Capanna di Betlemme si alternano ogni giorno della settimana, con le cosiddette “unità di strada”. «Abbiamo intenzione di integrare un’uscita anche nei weekend, perché sabato e domenica sono i giorni più scoperti, con meno servizi disponibili», racconta Liguori. Il loro lavoro è fatto di ascolto, piccoli gesti, relazioni che nascono sul marciapiede. «Il nostro obiettivo è cercare chi non viene a cercare noi – chiarisce – chi vive ai margini, chi si vergogna, chi ha smesso di credere che qualcuno possa aiutarlo».
L’appello per gli aiuti
Anche Nicolò Capitani, della Comunità Papa Giovanni XXIII, sottolinea quando l’emergenza sia concreta: «Servono più posti letto, ma soprattutto persone disposte ad esserci, anche solo per una sera. Uno può lavorare di giorno e venire a cena con i nostri ospiti: alle nove, di norma, la giornata è finita». E aggiunge in una risata: «A meno che non ci sia in programma qualche partita». I dormitori però non bastano mai. «Aggiungere posti è una costante – conferma Liguori – ma dipende da che tipo di risposta si vuole dare. Se serve solo a non far morire di freddo, è sufficiente un capannone. Ma se vogliamo seguire davvero le persone, sono necessari anche operatori formati e risorse adeguate».
Giovani e donne
Il profilo delle persone incontrate sta cambiando. «Un tempo il classico senzatetto era un uomo di cinquant’anni con dipendenze o problemi psichiatrici. Oggi vediamo anche ragazzi di vent’anni, spesso in fuga da famiglie difficili o da situazioni di tossicodipendenza», continua a raccontare Liguori. «Metà delle persone censite sono italiane, metà straniere, in larga misura provenienti da Nord Africa, Bangladesh, Europa dell’est. Quello che preoccupa maggiormente al momento è che la forbice dell’età si sta piano piano ampliando». E cresce anche la presenza femminile. «C’è un’attenzione particolare per le donne e per chi subisce violenza, ma i numeri in aumento fanno capire che la rete va ancora potenziata».
Le storie
Dietro ogni coperta distribuita, c’è una storia di volontariato che non si ferma al gesto. E, a volte, da un incontro nasce qualcosa di inatteso. «Un ragazzo che ha svolto volontariato con noi per un anno, ha conosciuto un signore che viveva in strada. - asserisce Liguori –. Insieme hanno aperto un marketplace online: lui costruisce bracciali e piccoli oggetti in legno, li fotografa e li mette in vendita su Internet». Una storia piccola, ma che racconta una verità grande: «Nessun progetto avrebbe mai previsto una cosa del genere. È nata da una relazione di fiducia, dalla voglia di dare dignità e possibilità». «A volte sono venuti anche dei parrucchieri a offrire un taglio di capelli gratuito – aggiunge Capitani – ci sono tante cose che si possono fare: ognuno può trovare il suo modo di essere utile. Lasciamo spazio alla fantasia e alla generosità di ognuno».
I progetti
La Comunità Papa Giovanni sta lavorando anche su progetti nuovi, che vanno oltre l’accoglienza d’emergenza. «Parliamo da tempo di aprire una lavanderia solidale, ad esempio - annuncia Capitani – dove le persone possano lavare i propri vestiti invece di cambiarli. Può sembrare una banalità, ma per chi vive in strada è un modo per sentirsi di nuovo pulito, dignitoso, una persona come le altre». Per Liguori e Capitani, il cuore del problema non è solo materiale, ma umano. «Chi viene con noi una sera – spiega Liguori – si porta a casa contentezza, ma anche tormento. Perché capisce che la povertà non è un mondo distante, è accanto a noi». Capitani conclude con parole che rimangono impresse: «Fuori fa freddo anche d’estate. Perché il freddo non è solo temperatura, è solitudine, è non sentire mai il proprio nome pronunciato da qualcuno. E tutto ciò si combatte solo stando vicini».
E nelle sere d’inverno, quando il respiro si fa nuvola e le mani tremano, qualcuno continua a camminare per le strade di Rimini, con una borsa di coperte e una parola gentile. Per ricordare che la città non è fatta solo di vetrine e luci, ma anche di ombre che chiedono di essere viste. E di persone che, semplicemente, non si sono ancora arrese all’indifferenza.