Rimini, Alessandro Saponi è il il re degli effetti speciali: «Ecco l’ultimo capitolo di Avatar»

Da Rimini alla Nuova Zelanda. Il direttore della fotografia digitale, Alessandro Saponi, 50enne, è tra i creatori degli effetti speciali della saga cult “Avatar”, di cui sta ultimando il terzo capitolo in uscita entro l’anno. Una produzione che viaggia sui 200 milioni di euro solo per il film a cui vanno aggiunti costi quasi altrettanto alti, destinati in primis alla promozione. Il suo mestiere, a cavallo tra arte e tecnica, necessita anche di un pizzico di conoscenze di fisica, matematica e informatica per la gestione di software e giganteschi database ma gli ha consentito di lavorare, dietro le quinte, per registi del calibro di James Cameron e Steven Spielberg.
Saponi, quando è iniziata la sua passione per gli effetti speciali?
«Fin dall’adolescenza. Dopo il diploma conseguito al Liceo scientifico “Einstein”, ho studiato Industrial Design a Milano. All’inizio ho dirottato il mio impegno verso il mondo della pubblicità dove ho collaborato, tra l’altro allo spot della Fiat, dove i granchietti pizzicavano la modella Kartica Luyet».
Poi un film iconico: “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore...
«È stato il mio primo “ruolo junior”, espressione che si traduce nel sobbarcarsi, come stagista, tutti i lavori più tediosi che i senior delegano volentieri. Intanto, a Riccione, avevo già conosciuto Luca Prasso, poi divenuto uno dei creatori di Shrek. L’occasione era stata offerta da Bee Movie, la convention di Computer grafica che richiamava molti appassionati quando l’industria degli effetti speciali era ancora agli albori».
Perché è sbarcato in California?
«Sono andato in avanscoperta, invitato da amici che lavoravano per George Lucas, per capire quali competenze aggiungere al curriculum in modo da poter aspirare a lavorare in aziende di caratura. Così si è aperta la possibilità di partecipare a “Happy Feet”, film di animazione che aveva per protagonisti i pinguini e che poi nel 2007 avrebbe conquistato un Oscar. Per realizzarlo sono rimasto quasi tre anni in Australia prima di volare in Nuova Zelanda per “Avatar”».
Passando alla saga de “Il Regno del pianeta delle scimmie”, ha profuso il suo impegno nel secondo e terzo film. Quali i risultati?
«Si tratta di personaggi digitali che vantano una delle migliori performance nella recitazione senza dimenticare la fotografia dal gusto cinematografico molto interessante».
Il regista James Cameron con “Avatar” ha segnato uno spartiacque nel cinema e ha frantumato vari record al botteghino. Cosa può svelarci del film che uscirà nel prossimo dicembre?
«Il filo rosso resta la volontà di sensibilizzare su temi legati all’ambiente e non solo per quanto riguarda il rispetto della natura incontaminata».
In precedenza aveva curato soprattutto gli effetti di bioluminescenza, ora cosa dobbiamo aspettarci?
«Il titolo “Fuoco e cenere” anticipa a dovere la cornice a cui ho lavorato anche se ci sarà parecchia acqua anche in questa pellicola».
Nei prossimi anni si immagina ancora in Nuova Zelanda?
«Sono finito qui per lavoro e mi sono innamorato di tutta l’area del Pacifico dove si può viaggiare anche con “passaggi” in barca a vela, un bellissimo modo per conoscere nuova gente e – perché no? – intercettare nuove ispirazioni».
Vantaggi e svantaggi del vivere all’estero?
«Abito qui con mia moglie, originaria di Treviso, e il nostro è un contesto dal sapore europeo sullo sfondo di paesaggi mozzafiato circondati da una fauna unica al mondo. L’isolamento comporta pro e contro. I servizi prevedono un costo aggiuntivo per arrivare dall’altra parte del mondo e in vent’anni la criminalità è aumentata, tra problemi di droga e gang di motociclisti ma, a detta dei nostri amici, la Nuova Zelanda resta un posto ideale per crescere figli. Anche il senso dello spazio che si trova da queste parti devo dire che è indescrivibile: si può guidare un paio d’ore senza incrociare una casa e restando sprovvisti per tutto il tragitto della connessione telefonica. In certe isole i ragazzi devono macinare 45 minuti a piedi per andare a scuola. Perciò quando torno a Rimini devo riadattarmi a ritmi del tutto diversi e nei primi giorni sono abbastanza intrattabile».
Ha lavorato anche con Steven Spielberg, ne “Le avventure di Tintin” e “Il grande gigante gentile”, che tipo è rispetto a Cameron?
«Spielberg è riuscito a tradurre in immagini i suoi sogni anticipando certe tendenze del pubblico. È in grado di toccare diversi generi e quindi una vasta gamma di emozioni. Non si nega niente della tavolozza dell’espressività cinematografica. Cameron, invece, predilige i film di azione. La sua sensibilità è sostenuta da una grande determinazione».
Gli attori che ha conosciuto si abbandonano a capricci particolari?
«In realtà, rispetto al passato, sono professionisti molto disciplinati che si guardano bene dal far perdere tempo e risorse sul set».