Rimini. Accusata di un avere fatto un prestito usuraio con tassi al 246%, assolta imprenditrice

Rimini
  • 01 giugno 2024

Accusati di avere orchestrato un’usura facendo firmare un contratto capestro a una riccionese di 64 anni mascherandolo da accordo preliminare per la compravendita di un immobile, sono stati assolti dal collegio penale, che ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura per valutare se sussistano i contorni di una falsa testimonianza resa a processo dalla donna: quest’ultima, dopo essersi rivolta alla magistratura e avere sporto denuncia, si era anche costituita parte civile chiedendo un risarcimento da 350mila euro, mentre l’accusa aveva chiesto una condanna a 3 anni e 10 mesi per ciascuno.

Rischio falsa testimonianza

Il trio di imputati - difesi dagli avvocati Riario Fabbri, Ninfa Renzini e Libera Maria Lazzarone - era composto da un’imprenditrice attiva nel settore immobiliare di 65 anni, originaria della Calabria e con affari in Sardegna e a Milano, l’ex convivente della parte offesa, un 63enne originario della provincia di Milano residente a Rimini, e il presunto mediatore dell’operazione, un 53enne di Bolzano residente all’estero. Secondo l’impianto accusatorio, la 64enne riccionese sarebbe stata convinta proprio dall’ex convivente ad accordarsi con i presunti usurai tramite la stipula di un contratto preliminare di vendita della casa. Sarebbe stato egli stesso a quantificare la cifra del prestito, il termine per la restituzione e l’ammontare degli interessi, che secondo i calcoli degli inquirenti si sarebbero assestati sul 246%. Gli obblighi, tuttavia, sarebbero ricaduti per intero sulle spalle dell’ex compagna, spinta a firmare il contratto dove figurava che l’acquirente le aveva versato 130mila euro tra acconti, caparre e gioielli sull’acquisto dell’immobile, con conseguente diritto alla restituzione in caso di mancata stipula del rogito entro una certa data. Il tutto per giustificare un prestito di 70mila euro, finito per lo più nelle tasche del 63enne. Agli imputati la procura contestava anche le aggravanti di avere commesso il reato in danno di una persona che in quel momento versava in uno stato di bisogno e per avere richiesto in garanzia una proprietà immobiliare. Accuse cadute con l’assoluzione, dopo che nel processo erano stati sentiti anche due notai intervenuti nella redazione degli atti finiti sotto la lente della giustizia. Ma non solo, perché ora colei che nel processo ricopriva il ruolo di parte offesa potrebbe rischiare di trovarsi imputata per falsa testimonianza: a far propendere per la trasmissione degli atti alla procura sarebbero state alcune discrepanze nelle testimonianze rese dalla donna, le cui accuse - inizialmente rivolte nei confronti dell’imprenditrice immobiliare - si erano poi spostate sull’ex convivente, in prima battuta descritto anch’egli come vittima di usura.

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