Il prezzo del gasolio vola alle stelle e i pescherecci riminesi restano ormeggiati alle banchine del porto canale. Sette giorni di sciopero (da ieri mattina), perché i costi superano gli incassi: meglio stare fermi. Domani è previsto un incontro con il governo e le associazioni di categoria chiedono ristori economici, cassa integrazione per gli equipaggi, riequilibrio dei giorni di attività ridotti dagli interventi della Unione europea: poco più di 120, oppure 130 in base alle dimensioni dello scafo. La protesta è stata decisa nei giorni scorsi a Civitanova Marche dalle varie marinerie e ieri mattina confermata al termine di una assemblea nella sede della Cooperativa Lavoratori del mare di Rimini.
Le reti restano a bordo
Alla base dello sciopero (fino al 14 marzo) al primo punto all’ordine del giorno compare ovviamente il “caro gasolio”, ma l’elenco è più lungo e chiama in causa il “reintegro dello sgravio fiscale contributivo all’80 per cento”, l’eliminazione del “contributo del datore di lavoro per la Naspi sui licenziamenti”, fino alla “riduzione delle giornate di fermo aggiuntivo». A questo proposito domani le associazioni di categoria vanno a Roma dove è previsto un incontro con il ministro alla pesca. «Vediamo se è possibile fare entrare il comparto fra quelli che vedranno un sostegno nel prossimo decreto» hanno spiegato i rappresentanti delle marinerie locali e nazionali. In caso di risposte negative la conseguenza sarà quella di lasciare le barche ancora legate alla banchina del porto.
“Non ce la facciamo più”
Ieri mattina nella sede della Cooperativa Lavoratori del mare è stata organizzata una assemblea aperta a tutti protagonisti della marineria riminese per fare il punto della situazione su quanto deciso alcuni giorni fa a Civitanova Marche e mettere a punto le richieste da presentare domani al ministro. Per quanto riguarda il “bacino riminese” si sta parlando di una flotta composta da almeno 90 imbarcazioni e un equipaggio complessivo di 300 marinai. Giancarlo Cevoli è il presidente della Cooperativa lavoratori del mare e sintetizza il malessere del settore. «Il caro gasolio è la goccia che ha dato il via a tutto il resto. Questi prezzi folli di fatto ci impediscono di lavorare - argomenta - il carburante incide più del cinquanta per cento, non ce la facciamo più e ogni giorno con il conflitto in corso va sempre peggio, con le cifre attuali l’attività non si sostiene, con una giornata di pesca non è possibile pagare l’equipaggio e le spese». I conti sono facili e drammatici. «Una imbarcazione media in una settimana può consumare dagli 8mila ai 10mila litri e oggi come oggi un litro di gasolio costa un euro zero venticinque o zero trenta centesimi. Con questi prezzi non ha senso andare in mare, si chiude in perdita, siamo costretti a fermarci». Cosa chiedete al ministro? «Aiuti per il settore e la cassa integrazione per i lavoratori».