Permesso di soggiorno negato: lui aiuta i malati di covid a Rimini

Rimini

RIMINI. È un rifugiato senza permesso di soggiorno e nel limbo della irregolarità sente che c’è bisogno di aiuto, serve un volontario per accudire le persone in quarantena da coronavirus. Cosa fa? «C’è chi sta male, allora si va, la vita è così». È la storia vera di Daouda raccontata in un film di Kristian Gianfreda, voluto dalla vice sindaca Gloria Lisi.

Dalla parte dei deboli
Oggi si celebra la Giornata internazionale del rifugiato. Per l’occasione il Comune ha realizzato un cortometraggio girato da Gianfreda (regista di “Solo cose belle”). Titolo: “L’attesa di Daouda”. Undici minuti di “storia vera” con attori che interpretano se stessi, dal protagonista all’avvocato, dal lavapiatti agli altri rifugiati. Daouda Dabre è un richiedente asilo al quale è stato rifiutato il permesso di soggiorno. Quando scoppia la pandemia e alle persone in quarantena nell’hotel Royal di Cattolica serve una mano, si offre volontario.

Trama e racconto
Le vicende di Daouda sono le stesse di tante persone arrivate sulla costa libica sperando in un futuro. Era il 2016 e veniva dal Burkina Faso dove ancora vivono la moglie e le due figlie gemelle. Oggi ha 44 anni e non le vede da tre. Arrivato a Rimini passa per la Caritas, quindi la Papa Giovanni. Poi la pandemia, l’apertura dell’Hotel Royal di Cattolica destinato alle persone in quarantena. Ma? Servono volontari. A questo punto il ragionamento di Daouda è disarmante. «C’è bisogno? Vado io - ha ricordato ieri nel suo italiano ancora incerto -. Io sto bene e tu stai male, allora io oggi ti aiuto, come si fa con un figlio, un fratello, la vita è così. Ho riempito lo zaino e sono andato a Cattolica».
Il Tribunale gli ha negato il permesso di soggiorno, davanti a sé ha la strada di un ricorso dall’esito scontato, ma almeno lo status di “ricorrente” gli garantirà un anno e mezzo di tempo e di speranza. «Io sono italiano - ha ribadito più volte -. Dalla Libia mi hanno buttato in acqua, senza sapere chi muore e chi vive, loro mi hanno portato in acqua e detto “vai a vivere”, io sono italiano».

Il destino dei profughi
Alla data del 17 giugno, il territorio provinciale assiste 403 stranieri nei Centri di accoglienza straordinaria: 206 a Rimini, 50 a Riccione, 37 a Misano e 36 a Bellaria, giusto per dare qualche numero. A questi vanno aggiunte 89 persone che fanno riferimento al Progetto Sprar. Il totale è quindi vicino a quota 500.
Siccome erano quasi mille in un recente passato, quale è stato il loro destino? «Il 20 per cento ha concluso positivamente il percorso di protezione - ha spiegato Luciano Marzi della Caritas -. Altri hanno raggiunto amici e familiari in altri Paesi. Altri, la maggior parte, sono sul territorio, invisibili, si spostano dove c’è lavoro».
La vice sindaca Lisi ha quindi criticato il Decreto Salvini. «Chiudere un centro di accoglienza e lasciare la gente a dormire in strada significa non assumersi i rischi, a maggior ragione durante la pandemia. Noi una casa l’abbiamo, i figli vicini, non tutti hanno questa possibilità. Noi siamo favorevoli a piccoli centri di accoglienza, quattro o cinque persone, no alle grandi strutture, no agli alberghi».

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