Nicoletta ha lasciato Rimini e ha scelto la Cina: “Qui non chiudiamo a chiave neanche nei condomini”

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CARLA DINI

«Non chiudiamo la porta a chiave neanche nei condomini di 32 piani». In Cina la parola d’ordine è sicurezza ed è questo uno dei tanti motivi che ha convinto a restare nella terra del dragone la riminese, Nicoletta Saccone, giunta nel 2021 per il suo lavoro nell’ambito bancario.

Saccone, perché ha deciso di fare le valigie?

«Sono arrivata in Cina nel luglio 2021 per motivi professionali ma, diciamolo subito, non era il migliore periodo per iniziare un’esperienza in questo Paese. All’epoca imperversava ancora la pandemia e c’erano vincoli anti Covid molto severi prolungati, poi, sino al novembre dell’anno scorso. Era scattato un giro di vite che aveva reso più restrittivo l’iter per i nuovi ingressi, cancellando del tutto i visti turistici. Ma non solo. Si era inasprita anche la trafila necessaria agli stranieri per potere lavorare. Fortuna vuole che la burocrazia cinese, per quanto imponente, funzioni bene e che basti una telefonata per ricevere informazioni chiare».

Un arrivo a dir poco movimentato, il suo?

«Tutto è cominciato con due settimane di quarantena a Nanchino: dall’aeroporto mi hanno condotto in un albergo senza anticiparmi nulla, ma la “dea bendata” mi ha assistito facendomi finire in un hotel a cinque stelle e per giunta in compagnia di mio marito. Nessuno dei due traguardi era scontato. Ora vivo a Shanghai, una metropoli internazionale, di cui sono innamorata, e che accoglie quasi 30 milioni di persone».

Sente mai nostalgia per Rimini?

«Mi mancano i tramonti sul ponte di Tiberio e le passeggiate nel parco ma anche l’aperitivo nel borgo della vecchia Rimini e il ventaglio dei colori locali, magnifico sia in autunno che in primavera. A volte ripenso alle colazioni domenicali da “Vecchi”. Rimpiango il sapore delle meringhe divise con i familiari da bambina, quando mi incantavo a osservare il pavone che, come ricorderanno i riminesi doc, volteggiava sull’albero di fronte al bar. Indimenticabili poi lo squacquerone, che qui è introvabile, e la piada: ho provato a prepararla ma non è la stessa cosa».

Consiglierebbe a un giovane romagnolo una parentesi in Cina?

«Certo che sì, è fondamentale aprire il cuore e la mente ma gli direi di scegliere una metropoli e non una delle zone rurali che costellano il Paese. Questa parte del mondo non sa cosa sia la diffidenza perché nessuno vuole fregarti. Non chiudiamo la porta a chiave neanche nei condomini di 32 piani ed è normale camminare da sola la sera, vestita scollata, senza essere importunata né investita da una scarica di frasi sessiste. Tutti lati positivi che hanno sorpreso anche mia madre, quand’è venuta a trovarmi riscoprendo un mondo perduto».

Altri vantaggi?

«Trasporti puliti, efficienti ed economici ma anche pagamenti digitali possibili ovunque e un sistema di delivery e di consegne a domicilio che viaggia a tempo record, senza il timore che qualcuno arraffi il tuo pacco se il fattorino non trova in casa nessuno».

Essere romagnoli fa la differenza?

«Ne sono certa perché siamo molto curiosi e passionali ma soprattutto estroversi. Una qualità che dona il coraggio di buttarsi oltre l’ostacolo armati di un bel sorriso che, in una terra dove quasi nessuno parla l’inglese, resta il miglior biglietto da visita. Spesso la Cina è vista in modo critico dagli stranieri invece è un bel ponte fra una cultura millenaria e le porte del futuro».

Somiglianze con la Romagna?

«L’attaccamento alla famiglia, una storia affascinante e una tradizione culinaria variegata e sorprendente».

Un aspetto tragicomico del tornare in patria due volte l’anno?

«Ogni volta che torno c’è qualcosa di bello ma anche di nuovo. È sparito, che so, quel negozio che amavo o magari è cambiata la viabilità. In pratica mi districo benissimo nelle stazioni cinesi che sono alveari pulsanti e poi per qualche istante (ride, ndr) non mi oriento più a due passi da casa».

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