La Fulgor Libertas incrocia le braccia

Rimini

FORLÌ. «Parole, soltanto parole, parole tra noi». Si può riassumere coi celebri versi di Mina la situazione surreale e al limite del drammatico che sta vivendo la pallacanestro forlivese che ieri ha toccato uno dei punti più bassi di sempre, secondo forse solo all’annuncio della cessione del titolo sportivo della Libertas 1946 a Sassari nel giugno del 1999. Una pagina nerissima scritta con negli occhi lo spettro che quella sparizione, lontana 15 anni, sia in realtà una prospettiva davvero vicina.

Per evitare che anche il secondo piede della Fulgor Libertas piombi nel baratro dopo l’immagine shock di una squadra che ha deciso di non allenarsi a tempo indeterminato, occorre una cosa sola. Ossia che dopo mesi di promesse lanciate come esche ai tifosi a tutti i componenti di una rosa allestita all’insegna del motto «i soldi non sono un problema», Massimiliano Boccio faccia finalmente seguire a slogan e rassicurazioni i fatti tangibili come carta moneta e tetti sulle teste.

Ieri mattina i componenti dello staff tecnico e gli atleti biancorossi attendevano che l’ordine di bonifico promesso dal “patron” giungesse al suo traguardo finale e si traducesse nel pagamento degli stipendi (gli stranieri non hanno ricevuto neppure una mensilità, gli italiani appena una) e nella messa a disposizione degli appartamenti per tutti coloro che ancora vivono sparsi tra gli alberghi di Forlì e Fratta Terme. E sono tanti visto che solo Carraretto, Bruttini e Becirovic hanno un alloggio e, pare, che ad alcuni di loro nei giorni scorsi siano state persino staccate le utenze. Nessun bonifico è però arrivato e allora mentre Boccio e consorte erano dati a Londra, irraggiungibili, all’allenamento delle 17 la scena è stata quella più temuta alla vigilia.

I giocatori arrivano alla spicciolata e a testa bassa. Ne mancano, però, 4: il giovane Lorenzo Brighi, Michele Antonutti ormai pronto a firmare un contratto biennale con la Juve Caserta, Sani Becirovic e Andrija Zizic, addirittura non rientrati in Italia dopo il permesso concessogli a sostare sino a ieri mattina in Slovenia e Croazia dove resteranno finché la situazione non si sarà sbloccata. Tutti quelli giunti al palasport sono rimasti in borghese per una lunga riunione dalla quale il primo a uscire è stato il direttore tecnico Lino Frattin: «Siamo in apprensione. Le ultime notizie che ho da Alberto Bucci che è riuscito a parlare con Boccio, dicono che si starebbe adoperando per ovviare alla mancanza di liquidità già da lui ammessa. La situazione doveva risolversi già oggi (ieri ndr.), non è successo, si dovrebbe risolversi a giorni. I giocatori, ovviamente contrariati da questi ritardi, ne hanno parlato assieme, li attendiamo qui ogni pomeriggio ma loro prenderanno una decisione collettiva sulla base di quanto accadrà mattina dopo mattina».

Il rischio è che domenica con Casalpusterlengo non si giochi e che, nel frattempo, qualcuno saluti Forlì per sempre? «Non sono un veggente, ma tutto dovrebbe sbloccarsi ben prima di domenica. E’ prematuro e distante dalla realtà parlare di giocatori che possano andare via».

Si vive alla giornata, dunque, come ammette il capitano Matteo Frassineti parlando a nome della squadra intera. «Il nostro non è uno sciopero perché ognuno di noi continuerà a lavorare in modo diverso da vero professionista qual è, ma volevamo lanciare un segnale alla proprietà perché è da lei che noi attendevamo segnali confortanti che non sono giunti. Ci dispiace trovarci in questa situazione, difficile anche per i tifosi, ma nonostante i nostri sforzi che credo si vedano sul campo, ci mancano tante cose per proseguire l’attività in modo decoroso».

L’atteggiamento non muterà finché «non avremo un altro colloquio con il presidente, ma soprattutto non vedremo i fatti seguire alle sue parole» e se per domenica Frassineti non si sente di promettere o minacciare nulla, da forlivese il suo morale è sotto terra. «Finché non è finita non è finita però a me pesa. Ero determinato nell’affrontare questa esperienza nella mia città, non vorrei pensare alla fine di tutto dopo soli tre mesi».

 

 

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