Cesena , Camplone pronto a ripartire
«È un concetto dettato dall’esperienza: dopo la sosta e il mercato c’è chi si rinforza, chi si indebolisce, cambiano parecchie cose. Cambia anche la mentalità: anche il pareggio diventa importante, le squadre fanno più calcoli e giocano meno a viso aperto. Ce ne accorgeremo anche al Manuzzi».
Come si comportano le sue squadre nel girone di ritorno?
«Di solito bene. Da subentrato sono sempre andato bene, mentre questa stagione per ora è davvero particolare: non mi era mai capitato di vincerle tutte in casa e perderle tutte in trasferta. Proprio non me lo spiego».
Cosa ha detto la bilancia quando avete pesato i giocatori?
«Sono stati bravi, sono arrivati a posto».
Il peso lo avete perso salutando Djuric.
«Voleva fare questa esperienza all’estero, era il suo sogno. Lo ricorderò come un serio lavoratore, un trascinatore, uno che trasformava ogni lancio in una palla giocabile».
Il 3-5-2 è il modulo di riferimento da cui ripartite?
«Una squadra deve sempre avere almeno due moduli, non cinque-sei perché altrimenti si fa confusione. Non avevamo mai avuto il tempo di provare qualcosa di diverso e ora quel tempo lo abbiamo. Ci servono punti e giocare con tre centrali dietro ci può essere utile, anche pensando ai gol che abbiamo preso a Verona. Con un centrale in più, potremmo trovare l’equilibrio che ci può servire fuori casa. È un’alternativa che ha tante variabili: per esempio se vai sotto, si può fare un 3-5-2 in corsa con esterni offensivi».
Sensazione sul Cesena visto da fuori: tanti buoni giocatori, ma squadra debole nel suo insieme.
«Mah, io sono arrivato tre mesi fa, non ho fatto il ritiro e ho una visione parziale. Quello che è certo è che ho trovato tanti acciaccati, tanti casi di pubalgia e non eravamo mai al 100 per cento. Ora va meglio e ripartiremo con una rosa messa abbastanza bene, visto che ora è fuori solo Capelli. Adesso siamo pronti e chi andrà in campo dovrà dare il massimo, anche perché sono tutti giocatori che in passato hanno sempre fatto bene».
Quindi il problema è stato essenzialmente fisico?
«Abbiamo avuto almeno otto casi di pubalgia, su tutti Ciano, Di Roberto, Filippini ma anche altri, e quando stai fuori per un mese e mezzo, poi è difficile ripartire. Poi ci sono stati i guai di Perticone, Capelli e Schiavone e tra stiramenti o strappi, diventa dura. Ora abbiamo fatto richiami importanti, i ragazzi si allenano bene e non abbiamo alibi: dobbiamo salvarci».
Prima di La Spezia, aveva messo in guardia sul pressing alto dello Spezia. Prima di Verona, aveva parlato di rischio di imbarcate se non ci fosse stata la testa giusta. Non le è venuto il dubbio che la squadra non la segua?
«Nessun allenatore ha la bacchetta magica, ma porta un’idea: se i giocatori la sposano, si va avanti, se non la sposano, si fa confusione. I giocatori questa idea l’hanno sposata, ma a metà, visto il nostro doppio volto tra casa e fuori. In casa lavoriamo di squadra e con attenzione, mentre fuori ci perdiamo troppe volte».
Sempre dell’idea che sia meglio vincere 4-3 piuttosto che 1-0?
«Sì, sempre. Aiuta a coltivare una mentalità che porta a lottare fino al 95’ e provarci fino alla fine. Poi questa è la base: è ovvio che se vinci 2-0, mica devi continuare ad andare all’arrembaggio».
Ma quando si lotta per salvarsi, non è meglio giocare per l’1-0?
«Se vai a fare calcoli, inculchi questa mentalità e ti metti a fare delle barricate, poi quando vai sotto è dura ripartire. Io ho una certa mentalità, che va sposata con l’equilibrio in campo: un bel segnale si era visto a Brescia, con la squadra che aveva reagito alla grande».
Rabbioso tackle a centrocampo, ripartenza e azione pericolosa. Lei ricorda un’azione del genere del Cesena nel girone d’andata?
«Questo è un aspetto che ci manca, ma è soprattutto un problema di tempi di pressione. L’idea di un pressing inizia dalle punte: una punta indirizza, l’altra punta o la mezzala indirizza la pressione e il terzo dovrebbe rubare palla. Troppo spesso usciamo, ma rimaniamo a metà e allora diventa tutto più difficile».
Ci sono dei leader in questa squadra?
«C’è un buon gruppo e grossi problemi non ce ne sono. Però di leader ce ne sono pochi».
Questa sembra una squadra che si parla poco in campo.
«La prima cosa che mi hanno insegnato quando ho iniziato a giocare è parlare, perché con la parola puoi non prendere gol, svegliando il compagno che sta dormendo. Ecco, questa è una squadra che a parole si aiuta poco».
C’è un portiere titolare nel Cesena?
«Ad oggi no. Siamo in una classifica non bella, quindi devo cercare di mettere in campo giocatori che mi danno tranquillità e il portiere deve dare tranquillità alla squadra. Deciderò entro la prima di ritorno a Perugia».
Che rapporto ha con internet e i social network?
«Sono contrario a pubblicare puttanate varie su ogni cosa che succede. Credo che sia un po’ la rovina di tutto».
Per chi lavora per fare gruppo come un allenatore di calcio, telefoni e tablet tra i giocatori sono un problema?
«Una volta era tanto bello, giravi con i gettoni in tasca e nessuno sapeva dov’eri... adesso ti ritrovi qualcuno dietro che ti ha rintracciato perché avevi il cellulare in tasca. Ora con i ragazzi è tutto più difficile: giovedì sera ero al ristorante e vedevo che in tutti i tavoli dominavano i cellulari, nessuno si diceva una parola. Non è un bel segnale, specialmente quando si deve vivere in un gruppo».
A proposito di internet: prendiamo tre frasi di allenatori trovate in rete e vediamo se è d’accordo.
«Proviamo».
Prima frase. «Tutti dicono che oggi un allenatore deve essere un gestore e non un maestro di calcio: non è questa la mia visione delle cose» (Zdenek Zeman).
«Anche oggi bisogna prima insegnare: perfino in serie A ci sono giocatori che non hanno le basi. Si deve sempre iniziare da zero, in qualsiasi serie. Poi forse in squadre di livello mondiale come Barcellona o Real Madrid devi essere più gestore».
Seconda frase. «Il tridente è l’unico modulo che ha ragione di esistere: così ti diverti e fai divertire» (Giovanni Galeone).
«Se hai gli uomini giusti, i tre davanti fanno la differenza. Però il calcio è cambiato: una volta con Galeone lasciavamo tre punte davanti e sei-sette dovevano lavorare. Oggi se lasci i tre davanti, prendi tre gol e tanti saluti».
Terza frase. «Quando c’è di mezzo la salvezza, se devo picchiare mia moglie, lo faccio». (Eugenio Fascetti)
«Cavolo che frase... io di sicuro non picchio nessuno, però quando c’è la salvezza, tutte le cose passano in secondo piano. Se uno ama questo sport, è normale che si butti a capofitto sul lavoro, però ogni tanto devi staccare la spina, altrimenti rischi di lavorare male. Io in certi momenti mi isolo, stacco da tutto per un po’ e magari proprio in quei momenti trovo la soluzione».
Ci dice il primo motivo per cui il Cesena si salverà?
«Perché sicuramente faremo un girone di ritorno diverso dall’andata. Credo che i ragazzi abbiano capito il valore di questo campionato per la società e per la città. Daremo tutti il 200 per cento».
È stato difficile fare capire il valore di questo campionato ai giocatori?
«Quando arrivi in corsa, non è mai facile. Io sono schietto, dico le cose in faccia e il primo giorno ho detto alla squadra: “Se credete in quello che facciamo, bene, altrimenti andremo incontro a brutte sorprese. Se c’è qualcuno che non accetta, basta che alzi la mano”. La mano non l’ha alzata nessuno, ora si riparte e dobbiamo metterci quella che a Napoli si chiama cazzimma».
Quanti punti servono per la salvezza?
«Tutti dicono 50. Noi almeno 30 punti nel girone ritorno dobbiamo farli e li faremo».
Dopo la palla al centro, cosa vuole vedere nel primo minuto di gioco di Perugia-Cesena del 23 gennaio?
«Una squadra bella, ben messa in campo e aggressiva».