Farsa scudetto nella piscina del "Falchi"

Rimini

RIMINI. “A volte si vince, a volte si perde, a volte piove”. Gli appassionati di baseball ricorderanno questa frase nel film Bull Durham pronunciata da Kevin Costner. E quando piove, soprattutto in una partita decisiva per l’assegnazione di uno scudetto, bisognerebbe avere il buonsenso di prendere una decisione intelligente.

Invece domenica sera al Gianni Falchi, teatro di garasei delle finali tricolori, è andato in scena l’ultimo atto di una Federbaseball ormai alla frutta. La gestione Notari si concluse con la bella scudetto del ‘99 tra Rimini e Nettuno davanti a 7000 spettatori, la gestione Fraccari si chiude davanti a pochi intimi con una marea di polemiche. Bologna vince lo scudetto della stella stappando lo spumante alle 2.10 del mattino, Liverziani alza la Coppa consegnata dal vice presidente federale Max Fochi (fino a quel momento al riparo dalla pioggia e da pericolose decisioni da prendere) con la Fortitudo che vince la serie per tre partite e mezza a due. Mezza sì, perchè quella di domenica è stata una farsa con responsabile unico l’arbitro capo Silvano Filippi.

La serata. Spiovicchia a Bologna durante il riscaldamento, ma la partita inizia, con Hernandez e Searle sul monte. Una base a Desimoni è quello che concede il partente bolognese, un triplo di Grimaudo vanificato da tre battute in diamante è quello che produce Bologna. Al 4° l’UnipolSai passa: singolo di Marval, balk di Hernandez che concede la base a Sambucci e viene toccato duro a sinistra da Vaglio (2-0). Rimini nel box al 5°: out Celli, base a Zappone, “kappa” Camargo e diluvio universale con Di Fabio nel box. Bologna per regola è a un out dallo scudetto ma il Falchi è una piscina. L’arbitro Filippi aspetta la mezzora canonica poi prende la decisione invitando la Fortitudo a rimettere a posto monte e diamante, concedendo oltre un’ora per i “lavori”. Smette di piovere ma sul cielo di Bologna c’è un cielo che non promette nulla di buono. La scelta più giusta sarebbe quella di rinviare tutto alla sera successiva e rigiocare la partita in condizioni accettabili (garacinque di finale tra Nettuno e Rimini nel 2002 fu rinviata tre sere di fila). Invece comincia l’operazione ripristino del campo, dalle tribune scendono in massa, si contano almeno 40 persone sul diamante e una domanda sorge spontanea: chi ha autorizzato l’ingresso (vietatissimo dal regolamento) di tutta quella gente? Nessuno.

A mezzanotte in punto si riparte, logicamente cambiano i lanciatori, Rivero e Padron. Di Fabio è il terzo out del quinto inning, ora la partita è valida e durante la sesta ripresa viene giù un altro acquazzone. Quando smette di piovere però cambia lo scenario: il “manipolo di appassionati” (come scrive il presidente bolognese Michelini sul sito della società aggiungendo un rivedibile “una lezione per tutti”) si è volatilizzato, i rastrelli vengono sostituiti da uno spazzolone, sul diamante lavorano in tre. Bologna è a corto di pitcher, i Pirati hanno il bullpen pieno, l’arbitro Filippi vede qualche goccia scendere di nuovo. E’ il segnale che aspettava con trepidazione. La partita (a ieri sera non ancora omologata) è ufficialmente conclusa.

Pillole finali. Nell’anno in cui si è deciso di iniziare le partite al pessimo orario delle 20, lo scudetto si è concluso a notte fonda con i giocatori in campo otto ore, riscaldamento compreso. E il 2016 dei Pirati è iniziato (gara1 a Padova) e si è concluso (gara6 di finale) allo stesso modo: con uno stop per pioggia al sesto inning.

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