La morte di Darryl Dawkins fa piangere anche la Romagna

Rimini

FORLÌ. Lo è stato da giocatore prima nell’Nba, poi in Italia e a Forlì, lo è rimasto una volta smessa la canotta e vestiti, sino al 2010, i panni di coach nelle leghe minori Usa e lo resterà per sempre. Leggenda. L’unica parola che può definire Darryl Dawkins.

Baby Gorilla, Chocolate Thunder... Chiamatelo come più vi aggrada, sbizzarrendovi come lui stesso soleva fare dando ad ogni sua schiacciata un nome diverso, ma oggi dedicategli un pensiero sfoggiando un sorriso, perché lui il sorriso l’ha sempre avuto sul volto per 58 anni. Quei pochi che il destino gli ha concesso prima che nella notte italiana di giovedì, all’ospedale di Allentown in Pennsylvania, il suo cuore facesse “crack” proprio come quei 15 cristalli (almeno) di tabelloni Nba mandati in frantumi affondando una palla che tra le sue manone sembrava un mandarino.

La sua morte, annunciata dalla moglie Janice e dai 4 figli, ha commosso il mondo dello sport e mentre si attende l’esito dell’autopsia, in queste ore chiunque ne serbi un ricordo non può che dipingerne un ritratto a tinte gioiose. Come ha fatto il Commissioner Nba Adam Silver che ne ha elogiato «passione, integrità, gioia e grande influenza su legioni di tifosi e ammiratori, giovani e vecchi».

A Forlì. Un’influenza enorme, anche a Forlì dove resterà per sempre parte della “trimurti della gloria”: Bob McAdoo-Darryl Dawkins-Micheal Ray Richardson. Il primo era il “Fenomeno”, il terzo “l’estro fatto a Campione”, il secondo, appunto, la “Leggenda”. Arrivò al Palafiera 35enne nel 1992, da Milano come prima di lui McAdoo. L’uomo giusto nel periodo sbagliato, quello della Telemarket di Corbelli e di due annate per lui straordinarie e per la città molto meno, con il record negativo ogni tempo di pubblico pagante: 146 contro Caserta. «Lo acquistarono a mia insaputa, fregandomi dopo che avevamo già comprato Rob Lock e costringendomi a fare convivere in campo due Tir - afferma Piero Pasini, suo allenatore per una stagione e mezza prima dell’esonero e l’arrivo di Millina - però Dawkins si dimostrò una persona meravigliosa, un giocherellone dalla massima disponibilità. Si allenava come forse non aveva mai fatto prima in vita sua e se plasmare quelle squadre per me era un problema, specie il primo anno, con lui non ce ne furono mai. Certo, voleva sempre schiacciare anche se a noi servivano più le sue doti di passatore e il suo buon tiro dalla media, ma è stato un onore guidarlo».

Esemplare. “Tuono di cioccolata” era alto 2.11, ma la mole lo faceva apparire più tozzo. Grasso però, non lo è mai stato come spiega l’amico preparatore atletico Giorgio Reggiani: «Abbiamo avuto uno splendido rapporto, sino a due anni fa ci sentivamo con costanza e mi parlava delle sue serate a bordo piscina sempre con la birra in mano. Quando arrivò a Forlì pesava 145 chili e per lui sarebbero state multe salate se non fosse sceso almeno a 135. Gli feci vedere un bilanciere e gli chiesi di fare pesi, lui non lo aveva mai usato e mi rispose “Shit”, poi iniziò a sollevarlo e non smise più. Ne perse 13 di chili e grazie alla fiducia reciproca, rimase sempre in forma. Nel basket dei 30 secondi nella quale bisognava aspettare il pivot, lui era il primo ad arrivare sotto canestro. Un professionista esemplare».

Aneddoti. Ce ne sono centinaia, tra cui uno, smentito da Dawkins stesso, che voleva che Claudio Bonaccorsi gli passasse la palla solo in cambio di soldi. «A Forlì faceva una vita riservata in famiglia e cucinava lui - ricorda Pasini - una sola volta l’ha lasciato fare alla moglie e in allenamento si sentì male». Reggiani, invece, ricorda come «alle 9 era sempre pronto per correre e una volta io e Darryl lo facemmo sotto la neve: di quel momento ho una foto messa in un quadro».

Dawkins, però, era anche un guascone. «Eccome - sorride il “Topone” - una domenica dovevamo affrontare la Pavia di Oscar e preparai una difesa mista “triangolo e due”. Lui non aveva fatto la Ncaa e non conosceva i concetti della zona. Quando provai a spiegargliela mi disse: “Coach, io una cosa mista nella mia vita l’ho fatta solo con le cheerleaders».

I record. Oltre a detenere quello di tabelloni distrutti, “Double D” fu il primo giocatore del basket statunitense, nel 1975, ad approdare in Nba, a Phila direttamente dalla High School. Quella di Maynard a 18 anni per un milione di dollari. In Italia, poi, appartengono ancora a lui tre record probabilmente destinati a restare imbattuti. Due lo legano a Forlì, dove nel match con Trapani vinto 99-90 nel 1993-’94 scrisse 14/14 da due. Il canturino DeQuan Jones con il suo strepitoso 11/11 al tiro contro Varese la scorsa stagione, gli ha fatto il solletico. In coabitazione ha anche il record di schiacciate in una gara: 9 sempre quell’anno in Forlì-Arese 86-74. Per capire la sua grandezza in un basket cui non si potrà più tornare neppure guidando la DeLorean di Marty McFly, basta leggere la sua percentuale al tiro nel nostro Paese: 180 partite con l’81.8%, addirittura con l’85.5% per 19.5 punti di media nella sua seconda annata forlivese. Al secondo posto c’è Arijan Komazec, ma col 68%. Distante anni luce dal “Pianeta Leggenda”.

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