Una mano "esperta" dietro agli ordigni
RIMINI. Chi ha preparato gli ordigni e sistemato gli inneschi che avrebbero dovuto distruggere tutti i mezzi dell’Emir e mettere in ginocchio l’attività dell’azienda, “colpevole” di un cervellotico collegamento con i cantieri della Torino-Lione, non è nuovo agli attentati incendiari anche se non può definirsi un esperto dinamitardo.
E’ una delle prime conclusioni alla quale sono giunti i carabinieri della squadra rilievi del Nucleo investigativo di Rimini, impegnati nell’inchiesta sulla vicenda. I rudimentali ingredienti sono stati assemblati infatti da qualcuno che ha una certa dimestichezza con le azioni di sabotaggio e con ogni probabilità ha già agito in passato. Si può dedurre, quindi, che chi ha compiuto il blitz sia venuto da fuori, visto che nel Riminese l’area cosiddetta antagonista non si è mai resa responsabile di atti di violenza (almeno una decina di riminesi è stata invece identificata nel corso delle varie manifestazioni in Piemonte). Le indagini, ovviamente, per il momento non escludono nessuna ipotesi, ma in realtà fin dal primo momento si sono indirizzate verso gli ambienti degli anarco-insurrezionalisti No Tav, altrove già votati all’eversione.
La “rivendicazione” ( una scritta a pennarello all’esterno di un gabbiotto nella zona della cava) è una firma chiara e viene considerata attendibile. «Cmc ecoterrorista. Solidarietà a Nico, Claudio, Chiara, Mattia e alla lotta No Tav». Il riferimento riguarda quattro giovani arrestati in Val Susa il 9 dicembre scorso (quasi in contemporanea con l’assalto incendiario di Villa Verucchio il Tribunale del Riesame di Torino ha rigettato ogni richiesta della difesa compresa quella di derubricare i reati contestati e le aggravanti di terrorismo). Il primo citato, “Nico” (Niccolò Blasi), è uno studente pesarese, conosciuto anche a Rimini, iscritto all’università di Torino. Dalla stessa azienda presa di mira, che non ha mai ricevuto minacce dirette e da quasi quattro anni si è allontanata dall’orbita Cmc, si escludono altre motivazioni all’origine del gesto (rivalità professionali, inimicizie personali, questioni economiche). I carabinieri - compresi quelli di Novafeltria che con il loro tempestivo intervento hanno probabilmente disturbato l’azione degli sconosciuti e contribuito a limitare i danni - continuano a interrogare dipendenti e camionisti esterni, alcuni dei quali avrebbero anche lavorato in passato nel cantiere della Torino- Lione. Sulla base della prima informativa il magistrato di turno Marino Cerioni ha aperto un fascicolo sull’episodio con l’ipotesi provvisoria di danneggiamento seguito da incendio doloso. E’ scontato che se non emergeranno fatti nuovi tali da far cadere la pista eversiva e le “finalità terroristiche”, ben presto gli atti saranno trasmessi alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Era già accaduto nel 2009 dopo i vandalismi nella stessa azienda (il taglio dei nastri trasportatori) e la rivendicazione dei No Tav all’agenzia Ansa di Bologna. I responsabili, allora, non vennero individuati. Se la “cellula” è venuta da fuori qualcuno della zona, però, deve avere indicato l’obiettivo e fornito appoggio e ospitalità.