Uno Bianca, a 20 anni dall'incubo

Rimini

RIMINI. Ventiquattro persone uccise, 102 ferite. Sette anni di terrore seminato in Emilia Romagna e Marche tra il 1987 e il 1994. Un incubo chiamato “Uno bianca” che si è chiuso esattamente 20 anni fa, con l’arresto di uno dei componenti della banda, Roberto Savi. Nei giorni successivi le manette sono scattate anche ai polsi dei suoi fratelli, Alberto e Fabio e degli altri componenti del gruppo criminale che si è lasciato dietro una lunga scia di sangue, rapine e violenze. I tre fratelli Savi, originari di Verucchio, sono stati condannati tutti all’ergastolo. Fabio, l’unico della banda che non apparteneva alle forze dell’ordine (gli altri erano poliziotti) quest’anno ha chiesto di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato che tramuterebbe l’ergastolo in trent’anni di reclusione. Aspetta il verdetto della Corte d’Assise. All’epoca della condanna non era possibile chiedere il rito abbreviato per i reati che prevedessero l’ergastolo.
È stato grazie all’intuizione di due poliziotti dell’allora commissariato di Rimini, Luciano Baglioni e Pietro Costanza, che si è chiuso il cerchio intorno ai criminali. Coordinati dal sostituto procuratore Daniele Paci, avevano trovato la pista giusta che appunto vent’anni fa ha portato alla svolta.
Per i parenti delle vittime resta una ferita ancora aperta. Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della Uno bianca, intervistata da Repubblica, «non si possono chiudere quei fatti, commessi con cattiveria e violenza inaudita». La banda cominciò a commettere i colpi nel 1987, prendendo di mira i caselli autostradali, per poi allargarsi a supermercati, banche e uffici postali. Per commettere i reati, spesso i componenti utilizzavano una Fiat Uno di colore bianco, da cui il nome della banda. A commettere il passo falso fu Fabio Savi detto “il lungo”, il 3 novembre del 1994. Eseguendo un sopralluogo davanti a una banca di Santa Giustina, fu notato da Baglioni e Costanza che erano appostati poco distante. In quell’occasione Fabio era arrivato a bordo di una Fiat Tipo di colore bianco con la targa sporca e illeggibile. Questo particolare insospettì i due investigatori che lo seguirono fino a Torriana, dove abitava. La fisionomia dell’uomo corrispondeva fra l’altro a quella ripresa dalle telecamere di altri istituti bancari rapinati in precedenza dal bandito. Da quel momento le indagini subirono una svolta rapidissima che portò a scoprire tutto il sodalizio criminale. Roberto Savi fu arrestato pochi giorni più tardi in questura a Bologna, dove prestava servizio come operatore della centrale operativa.

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