Ritorno alla vita per 94 ex dannati

Rimini

RIMINI. Toccano il fondo e poi risalgono a galla. Non tutti ce la fanno. Ma sono un centinaio all’anno gli ex dannati che hanno fatto andata e ritorno nell’inferno dell’eroina, cocaina e ogni tipo di droga e dipendenza. Compresa quella da gioco d’azzardo.

Sono tanti e apparentemente “normali”, usciti da una guerra devastante al termine della quale restano «ferite che per il resto della vita proveremo a rimarginare». Come la maestra elementare che, per placare il lancinante pianto notturno della figlioletta di appena due anni, lasciava un paio di biscotti nella culla e poi fuggiva alla ricerca della dose che le avrebbe fatto dimenticare per un paio d’ore la realtà. O il cameriere, che dopo «quasi un anno passato chiuso in casa a iniettare il veleno nelle vene», è stato preso per i capelli a un passo dal baratro e ora può dire vinta la sua battaglia: «Accolgo i ragazzi tossicodipendenti e cerco di aiutarli con la mia esperienza». O ancora: il giovane passato per un calvario durato anni fatto di droga, bugie, depressione e autodistruzione; tutto ormai gettato alle spalle: «Ora è titolare di un’attività commerciale davvero molto nota nel riminese e padre di famiglia». Sono numerose le storie che lastricano il percorso verso la Festa del riconoscimento, l’annuale celebrazione della Papa Giovanni XXIII in cui si sancisce ufficialmente la fine del percorso terapeutico per chi è riuscito a risalire dagli abissi.

L’appuntamento che dura da ormai 25 anni, e si celebra ogni 26 dicembre, veniva definito dal fondatore della Comunità, don Oreste Benzi, proprio come «il ritorno alla vita». Non a caso: bastava essere presenti ieri, nella gremita chiesa della Resurrezione, dove è stata celebrata la festa non solo per chi ha detto addio alla droga, ma anche per le loro famiglie. Meo Barberis, storico operatore della Papa Giovanni XXIII dal 1983, racconta di un percorso per aiutare a liberarsi dalla schiavitù che «ormai è stato personalizzato: abbiamo dai 15enni ai 60enni; padri e madri di famiglia; persone che hanno un lavoro e rientrano tra gli “insospettabili”». E per ognuno di loro, attualmente sono circa 400, deve essere trovata una “soluzione” ad hoc. Quasi sempre in tre fasi: «Dall’accoglienza al reinserimento», continua Barberis, «soprattutto quest’ultimo passaggio è il più difficile».

Come conferma anche Daniele, tra i 94 protagonisti ieri alla Festa del riconoscimento, che ammette con sincerità disarmante: «Ho paura, arrivo dal mondo del contrabbando e dello spaccio e per una vita mi sono sempre rifugiato lì nei momenti di difficoltà ricadendo nella trappola della dipendenza». Ecco spiegato perché ha deciso di restare un altro anno da volontario all’interno della Papa Giovanni XXIII. «Non sentirsi abbandonato - continua Daniele - è psicologicamente un aiuto fondamentale per non tornare all’eroina e alla cocaina come ho fatto per anni».

E che dalla Comunità fondata da don Oreste non si voglia abbandonare nessuno lo conferma anche il messaggio lanciato dall’attuale presidente Giovanni Ramonda, che proprio in occasione della Festa ha lanciato un appello: «Il 24,5% dei detenuti nelle carceri italiane, secondo dati Istat, è costituito da tossicodipendenti. Se trasformiamo la pena detentiva in un percorso serio presso comunità terapeutiche riduciamo di un quarto la presenza in carcere ma soprattutto attuiamo una pena veramente rieducativa come vuole la nostra Costituzione». E la spiegazione è data anche dal fatto che «Oggi - ha continuato Ramonda - oltre l’80% di chi esce dal carcere torna a delinquere mentre in pochissimi casi chi fa percorsi alternativi commette nuovamente reati».

La festa è stata l’occasione anche per annunciare l’apertura il mese prossimo di una nuova comunità terapeutica a Puerto Madryn, in Argentina: sarà gestita da una giovane coppia di sposi della Comunità Papa Giovanni XXIII che partono in missione con i loro due figli.

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