Riaperto il caso Pantani: «Fu ucciso»

Rimini

RIMINI. Omicidio volontario. E’ l’ipotesi di reato, a carico di ignoti, con la quale la procura di Rimini ha aperto un nuovo fascicolo sulla morte di Marco Pantani, avvenuta a Rimini il 14 febbraio 2004. Il procuratore capo Paolo Giovagnoli seguirà personalmente l’inchiesta assieme al pm Elisa Milocco.

Finora ogni tentativo di riaprire il caso da parte dei familiari del Pirata era andato a sbattere contro il buon senso e l’assenza di nuovi elementi. L’esposto-denuncia presentato dall’avvocato Antonio De Rensis ha evidentemente incrinato le certezze della magistratura, cristallizzate nelle sentenze definitive nei confronti degli spacciatori dell’ultima dose, e convinto Giovagnoli ad approfondire le presunte incongruenze messe in evidenza dal legale bolognese (noto tra l’altro per aver difeso, e fatto assolvere, Antonio Conte nel processo sul calcioscommesse). Ad avvalorare i sospetti che mettono in dubbio la ricostruzione ufficiale è una consulenza medico legale eseguita per conto della famiglia Pantani dal professor Francesco Maria Avato (risultato decisivo nelle inchieste di Garlasco e sul caso Bergamini). Non contesta le cause della morte: overdose da cocaina. Fornisce una lettura alternativa dei fatti secondo la quale le ferite sul cadavere non sarebbero «autoprocurate, ma opera di terzi» e l’assunzione di droga forzata. Il Pirata sarebbe sarebbe stato stordito e immobilizzato per costringerlo a bere lo stupefacente diluito nell’acqua, fino a provocarne la morte. Si giustificherebbe così la grande quantità di cocaina ritrovata negli organi di Pantani, considerata pari a sei volte la dose letale. La procura ha trattato l’esposto come una autonoma notizia di reato, ma anche se non si può parlare tecnicamente di riapertura del caso, la fretta con la quale Giovagnoli ha optato per l’iscrizione, modello 44 a carico di ignoti, lascia credere che la denuncia sia degna di rispetto. «L’esposto sostiene che sia stato ammazzato, ma non viene indicato nessun colpevole», specifica il procuratore. Il vero e proprio avvio degli accertamenti comincerà però solo a settembre quando, dopo una lettura più approfondita delle carte, sarà delegata a una forza di polizia (probabilmente i carabinieri) l’incombenza. Mamma Tonina aveva più volte tentato di rivolgersi alla magistratura, compresa la procura di Forlì, senza però arrivare a niente. L’avvocato De Rensis, al di là delle indiscrezioni trapelate (nessuna delle quale realmente inedita e tutte sviscerate nel corso della prima inchiesta e dei relativi sviluppi processuali) sostiene di aver fornito spunti investigativi importanti ed elementi «incontrovertibili» al solo scopo di raggiungere «una verità più fondata», al di là di quelle che saranno le conclusioni della nuova indagine. Il punto chiave è la possibilità che nel residence si potesse entrare e uscire senza essere visti, attraverso un ingresso secondario. Una circostanza vera e conosciuta agli inquirenti che però, per ragioni di economia processuale non avevano sottolineato una volta raggiunto il loro scopo: individuare e arrestare i responsabili dello spaccio. Ecco allora, ad esempio, emergere i dubbi sulla presenza di un giubbotto di troppo per insinuare la possibilità che qualcun altro si sia introdotto nella stanza del Pirata, nei giorni nei quali è rimasto nel residence prima della morte.

«Siamo certi di aver lavorato bene e secondo coscienza, non ci sono verità nascoste come dimostrano le carte e i processi», è l’amaro commento di uno degli investigatori della Squadra mobile che dieci anni fa in 55 giorni risolsero il caso, svelando indirettamente al mondo la triste realtà quotidiana di Pantani, solo, in rotta con tutti compresi i familiari e in preda alla cocaina. «La sua fine avrebbe potuto trasformarsi in una campagna contro le false illusioni come droga e doping. E’ diventato un giallo d’agosto. Non vorrei che l’inchiesta bis finisse per provare solo che il Pirata è stato una vittima di se stesso e di quanti l’avevano abbandonato dopo averlo usato».

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